DI ROSSELLA ASSANTI
Ad Afrin all’alba di ieri tra i cespugli del villaggio di Deir Sawan nel sotto-distretto di Sharran, sono stati rinvenuti due cadaveri rispettivamente di una donna e del suo piccolo figlio. Colpi di arma da fuoco avevano crivellato i loro corpi.
L’organizzazione per i Diritti Umani di Afrin fa sapere che “il numero di civili curdi di Afrin uccisi da milizie affiliate alla Turchia sta salendo vertiginosamente. Le vittime principali sono donne e bambini. Il movente resta ignoto.”
Tre giorni fa una ragazza di 23 anni è stata ritrovata morta, barbaramente uccisa con un’arma da fuoco, così come un’altra madre e i suoi due figli.
Un lago di sangue che si espande sul letto fertile del silenzio internazionale.
La Turchia ha sempre adottato, sin dal 2018, tecniche violente per convincere i cittadini curdi di Afrin a lasciare il territorio, le loro case, la loro terra.
Il cambio demografico che il Presidente Turco Recep Tayyip Erdogan sta attuando su quel pezzo di terra martoriato, prevede ogni forma di violazione dei diritti umani.
La Corte Internazionale dei diritti dell’uomo dovrebbe tuonare contro uno Stato che continua ad avere stretti rapporti con l’Europa, sì la nostra stessa Europa che sventola bandiere di democrazia e diritti per tutti per poi restare ancorata a terre marchiate di crimini contro l’umanità.
Non è ora solo il COVID19 à far tremare Afrin, ma l’imperante e continuativa violenza di milizie Jihadiste alleate alla Turchia che non lasciano scampo.