DI IANA PANNIZZO
Marcello Simoni, è uno di quegli autori di cui non riesci a dimenticarne le storie dopo aver letto l’ultima pagina. I suoi romanzi affascinano perché ogni suo personaggio, che sia principale o secondario, è descritto in tutte le sfaccettature. Uno stile perfetto, quasi irreprensibile che il lettore non può non amare.
Nella prigione della monaca senza volto, riprende la figura della monaca di Monza, Marianna de Leyva, che per certi versi si ricollega a quella descritta dal Manzoni nel celebre romanzo de I promessi Sposi. E’ interessante confrontare i due autori cosi lontani nel tempo e per stile, per visione di un personaggio realmente esistito nel seicento di una Milano repressa.
Mentre il Manzoni mette in risalto le fattezze fisiche della donna come il volto e soprattutto, gli occhi, lo sguardo che invoca pietà seppur nel suo superbo cipiglio, Simoni ne enfatizza subito il carattere, misterioso, enigmatico. Nel Manzoni abbiamo una monaca di Monza orgogliosa ma remissiva che sopprime la rabbia e la soggezione verso il padre, ha un comportamento contraddittorio, che soffre e fa trasparire il suo malessere attraverso l’imposizione e i suoi ordini come badessa. Con Simoni invece leggiamo di una monaca che cerca vendetta, che si racconta, che ama se stessa, la liberà e il ricordo del suo uomo. Una donna malvagia perché sventurata. Una donna che ha rinunciato alla sua vita con fallace remissività.
Nel romanzo torna l’ormai noto inquisitore Girolamo Svampa, con quel suo temperamento forte e deciso che ricorda un boccale di birra scura. Un uomo che sfoga nell’irruenza e nella durezza dei modi la perdita di suo padre, inseguendo fantasmi, chimere, la sua vita di bambino rubata, riavvolgendo così il senso del tempo come un vecchio film visto e rivisto.
Ci s’innamora dello Svampa, uomo ostinato e cupo come un vicolo scuro e senza lampioni. Egli ricorda, teme e ama. Il suo cuore è come un lago ghiacciato, duro in superficie e affascinante anche quando guardarlo e attraversarlo implica forti rischi.
Una storia che riprende vecchi rancori. Una fede storpiata che non cammina tanto sulla strada della dissolutezza quanto quella di guardare dentro il lato più nascosto abbandonando spesso raziocinio e scetticismo.
L’amore è visto da più punti di vista, da quello paterno a quello dissoluto di donne penitenti; da quello celato al mondo a quello sfacciato e sperato.
Come in ogni romanzo di Simoni non manca di avventura, di suspense, di trame affascinanti che non possono fare altro che catturare il lettore dalla prima all’ultima pagina. Nella Milano del 600, in cui l’inquisitore non si lascia andare a isterici pensieri a interpretazione di stregoneria, quando il nemico viene da dentro, dal passato, da un affetto, da un sentimento.
Un’atmosfera coinvolgente, che ti trascina via tra monasteri di clausura e viaggi introspettivi in un continuo pellegrinaggio alla ricerca della verità.