DI EMILIANO RUBBI
Piace perché a 70 anni sta con una 19enne.
Piace perché viene condannato e poi amnistiato, piace perché “voi che lo criticate siete solo invidiosi”.
Me l’hanno scritto diverse persone, in questi giorni.
E no, guardate, vi rivelo una cosa: la mia massima aspirazione non è quella di tramutarmi in un pluriinquisito settantenne con problemi di obesità e malato di Covid che si circonda di giovanissime concubine (che stanno con lui per amore e perché lo trovano molto sexy, ovviamente) e passa la vita in posti come il Billionaire.
Il Billionaire, il Twiga (o come si chiama), per me sono l’inferno in terra, letteralmente.
Dovreste pagarmi moltissimo per farmi entrare lì dentro.
E non sto scherzando.
La mia personalissima idea di “supplizio eterno” è quella di ritrovarmi in uno di quei posti, circondato da abbronzatissimi cafoni arricchiti in camicia bianca (o nera) che sbocciano champagne in mezzo a nuvole di veline, pseudo-vip di cui ignoro l’esistenza e industrialotti della bassa.
Mi repellono le wannabe modelle in abito da sera al tavolo del calciatore che spende in una sera quello che un operaio guadagna in un anno.
Mi repelle tutto, di quei posti.
Esattamente come mi repelle Briatore, che per quanto mi riguarda è la rappresentazione più chiara di tutti quelli che sono i mali della società italiana e del peggiore capitalismo: strafottenza, ignoranza, furbizia, arroganza, volgarità, menefreghismo, classismo, maschilismo.
Briatore è quello che si ammala e paga una stanza tutta per sé in un reparto non attrezzato al Covid, mettendo a repentaglio la salute di tutti.
Lo può fare, del resto, il sistema sanitario lombardo è quello: se paghi e sei un amico di Zangrillo puoi fare tutto.
È quello che non spende una sola parola per i suoi sessanta dipendenti malati, neanche per il barista finito in terapia intensiva.
Se vi piace Briatore è perché voi, magari, vorreste essere come lui, io no.
Preferirei essere povero in canna che essere quella roba lì.
Perché se fossi come lui non farei altro che disprezzarmi.
E così, oggi che Briatore dà la colpa del focolaio nel suo locale ai clienti che si assembravano, tirandosi fuori da ogni responsabilità, voi potete pensare che cuochi, barman e camerieri, appena lo sguardo vigile e severo di Briatore si allontanava, lanciassero le mascherine e iniziassero a pomiciare tra loro, oppure potete prendere atto che quel focolaio è responsabilità di chi urlava e insultava mezzo mondo perché gli chiudevano (troppo tardi, purtroppo) il locale.
Ma se la vostra idea di successo è quella, fate pure.
Ve lo lascio volentieri, il vostro “successo”.
Personalmente, posso giurarvi che non cambierei nulla della mia vita con quella di Briatore.
E forse è questo che vi dà tanto fastidio.