3 SETTEMBRE 1982, CONOSCIAMO GLI ASSASSINI NON I MANDANTI

DI VINCENZO G. PALIOTTI

Se è vero che esiste un potere, questo potere è solo quello dello Stato, delle sue istituzioni e delle sue leggi, non possiamo oltre delegare questo potere né ai prevaricatori, né ai prepotenti, né ai disonesti”.

Sono parole del Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa un vero e proprio testamento morale che ci lasciava, pochi giorni prima di cadere sotto i colpi della mafia e dei poteri occulti, e che è tutt’ora attuale. Parole dirette verso chi interpreta, certe volte, la carica che riveste come una sorta di lasciapassare per agire seguendo i propri istinti, le proprie convinzioni che però spesso sono in contrasto con le leggi, le regole democratiche.

Questo ed altro ci ha lasciato il Generale, davanti a tutto l’esempio di come si deve servire lo Stato al di là di ogni limite, incondizionatamente e fino in fondo, con onestà, mettendo da parte ogni interesse personale.

Sono passati 38 anni da quella tragica sera in Via Carini quando il Generale cadde insieme alla sua giovane moglie Emanuela Setti Carraro ed all’agente di scorta Domenico Russo, sotto i colpi della mafia e di poteri occulti collusi con essa. Sospetti confermati dalle ultime parole della sentenza emessa nel processo contro i suoi assassini: “Si può senz’altro convenire con chi sostiene che persistano ampie zone d’ombra, concernenti sia le modalità con le quali il generale è stato mandato in Sicilia a fronteggiare il fenomeno mafioso, sia la coesistenza di specifici interessi, all’interno delle stesse istituzioni, all’eliminazione del pericolo costituito dalla determinazione e dalla capacità del generale”. Queste parole riportano alla memoria le “menti raffinatissime” di cui parlò Giovanni Falcone quando sfuggì all’attentato dell’Addaura il 21 Giugno 1989.

Questa ed altre stragi aspettano la verità, non quella di comodo, conosciamo gli assassini non i mandanti.