SECONDO LOCKDOWN IN ISRAELE

NOSTRO CORRISPONDENTE DA ISRAELE

 

Da venerdì prossimo, in concomitanza con l’inizio del nuovo anno ebraico, scatterà un secondo lockdown, della durata di almeno 3 settimane. Lo ha annunciato poco tempo fa durante una conferenza stampa televisiva, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu.

Il provvedimento prevede la chiusura di negozi,scuole, teatri, cinema, eventi culturali, alberghi e ristoranti. Rimarranno aperti supermercati e farmacie, aziende private e gli areoporti. Non sono ancora chiare le decisioni riguardo ai luoghi di culto e le manifestazioni. Per i primi c’è molta preoccupazione visto che Rosh hashanà, il capodanno ebraico, apre una serie di festività e ricorrenze che si protrarranno per circa un mese chiamando a raccolta milioni di fedeli. Anche le manifestazioni contro Netanyahu sono al centro di un feroce dibattito, visto che settimanalmente si radunano 10-15 mila persone attorno alla residenza ufficile del Primo ministro israeliano. Senza contare le altre decine di migliaia che manifestano nei diversi punti del paese.

La decisione è l’inevitabile conclusione di un periodo in cui il livello dei contagiati ha raggiunto picchi di 4000 unità al giorno e non dà cenno di fermarsi. Ma non è solo il crescente numero dei contagi quello che più preoccupa i dirigenti del Ministero della Salute, le notizie critiche arrivano dai centri ospedalieri dove il numero dei casi ricoverati in terapia intensiva è vicino al collasso.

Nonostante che nella prima tornata del Covid 19 Israele ne sia uscita a testa alta e che sia stato formato un governo di emergenza nazionale proprio per affrontare al meglio i diversi campi influenzati dal Corona virus, gli interessi politici e settoriali rappresentati dai vari componenti la compagine governativa erano troppo in contrasto uno con l’altro per permettere di risolvere la crisi in maniera razionale ed efficace.

E in mezzo a tutto questo marasma Bibi abbandona la nave nel bel mezzo della tempesta e parte per gli Usa per partecipare alla firma degli accordi di normalizzazione che Israele firmerà a Washington con gli Emirati Arabi Uniti e il Bahrein, tutto ciò sotto il beneplacito dell’amministrazione Trump.

Ci sono molte domande, attualmente senza risposta, che accompagnano la drastica decisione del governo israeliano. La principale è se il sistema sanitario nazionale riuscirà a sfruttare le tre settimane a disposizione per organizzare un’efficace tracciatura epidemiologica, cosa praticamente impossibile col numero attuale di contagiati. Un altro quesito che tutti si pongono è come reagirà il paese di fronte a questo nuovo blocco, lo rispetterà in maniera quasi esemplare come successe nei mesi di marzo-aprile o ci sarà una specie di rivolta popolare? L’israeliano medio è senz’altro esasperato, la crisi economica non è ancora stata superata e a farne maggiormente le spese sono i liberi professionisti, gli esercenti e le partite IVA in generale. Vale a dire la maggioranza del ceto medio del paese.

Se proprio vogliamo cercare il lato positivo allora direi che almeno per il momento lo spettro di nuove elezioni si sta allontanando visto che Netanyahu è praticamente l’unico responsabile della catastrofica situazione e non penso che voglia rischiare di indire nuove elezioni in un momento così delicato non solo per il paese, ma soprattutto per se stesso, visto che pendono sul suo capo tre enormi spade di Damocle: i processi che si riapriranno nei suoi confronti alla fine di dicembre.