DI LUCIANO ASSIN
NOSTRO CORRISPONDENTE DA ISRAELE
Si è conclusa alle 19.30 ora italiana la cerimonia sul prato sud della Casa Bianca con la quale Israele ha firmato un accordo di pace con gli Emirati Arabi Uniti e un trattato di normalizzazione col Bahrein. E’ il terzo accordo di pace che lo Stato Ebraico firma con un paese arabo dopo l’Egitto, 1979, e la Giordania, 1994.
Nonostante il Covid 19 sia negli Usa che in Israele abbia ancora delle proporzioni allarmanti, la cerimonia si è svolta secondo gli standard tradizionali, pochissime mascherine e zero distanziamento sociale. Un vero accordo fra uomini coraggiosi. E pensare che fino a pochi giorni fa Netanyahu aveva chiesto di organizzare un volo speciale con aereo privato per poter salvaguardare la propria salute. Richiesta subito accantonata dopo un’alzata di scudi trasversale di tutto l’arco politico e dell’opinione pubblica.
Mentre gli EAU e il Bahrein erano rappresentati dai rispettivi Ministri degli Esteri, il Premier israeliano ha sconvolto il protocollo per poter apparire in prima persona e portarsi a casa una foto di gruppo che gli farà sicuramente comodo nelle prossime elezioni. A questo proposito è importante sottolineare come non sia affatto chiaro se la firma del Primo Ministro israeliano sia vincolante, visto che secondo la legge israeliana solo il Ministro degli Esteri avrebbe il diritto di ratifica.
Dai discorsi dei leader presenti sono emersi due messaggi significativi: il primo in sostanza afferma che questa è la nuova realtà nel mondo arabo, Israele è stata sdoganata in maniera ufficiale e chi non riuscirà ad adeguarsi a questo profondo cambiamento rimarrà inevitabilmente indietro. Il secondo messaggio è collegato al primo ma riguarda in maniera molto più diretta i palestinesi. Sia gli Emirati che il Bahrein hanno ricordato il problema palestinese in maniera molto blanda lasciandoli capire che la questione palestinese, almeno dal loro punto di vista, non è fra le priorità più impellenti.
Le reazioni palestinesi, sia a Ramallah che a Gaza, rivelano soprattutto una grande frustrazione. Dalla striscia di Gaza sono stati lanciati diversi missili verso le città costiere di Ashkelon e Ashdod, causando qualche ferito.
La leadership palestinese intuisce che la base è ormai stanca e vorrebbe vedere dei cambiamenti positivi, prima di tutto all’interno del mondo politico. Ma per il momento non si profila nessuna figura politica di spessore in gradi di proporre un nuovo approccio al conflitto israelo-palestinese.
E visto che fra i probabili paesi che firmeranno accordi simili nel prossimo futuro si profila anche il nome del Qatar, attualmente il principale sponsor economico della striscia di Gaza, ecco che si capisce come il dilemma palestinese non possa che aumentare.
Ancora non è chiaro se gli accordi firmati oggi saranno il canto del cigno della presenza USA nella regione o invece un cambiamento radicale della politica estera statunitense con una decisa volontà di riaffermare il loro ruolo principale nella zona.
Ma per questo bisognerà aspettare gli esiti delle elezioni USA in programma a Novembre. Ma ci saranno veramente?