J’ACCUSE…LA TRIPLETTA DELL’OPERAIO DI RIVARA CANAVESE

DI VIRGINIA CIARAVOLO

(Intanto visto che mi trovo , mi suicidio cosi’ non pago, uccido mio figlio e compio un femminicidio lasciando una madre in vita.)

Era solo giugno, quando il caso Bressi a Gessate, scosse l’Italia già sconvolta dalla pandemia in corso. Ci risiamo, questa notte in provincia di Torino. Stesso modus operandi, troppe simiitudini, identici i motivi per poter delegare ad uno stato depressivo la responsabilità di questa vile colpa. E allora per tutti quelli che riescono non si sa come a trovare uno straccio di giustificazione, pensando che la depressione abbia indotto questo povero padre a salvaguardare il benessere del figlio, parliamone una volta per tutte e guardiamo in faccia la realtà. A monte di ogni ragione umana, vi e’ sempre una spiegazione e , le scelte dell’operaio torinese sono ben descritte nel suo j’accuse alla moglie. Proviamo a fare una autopsia psicologica del suo ultimo scritto, pochi minuti dopo questo padre amorevole si macchierà di colpe orrende: l’uccisione del figlio e l’uccisione emotiva e psicologica della madre !

Sin dai primi righi, appare il matrimonio con la moglie come il miglior investimento potesse fare.
L’uomo più felice del mondo, la convivenza una favola, aspettative irrealistiche, tutti quanti noi sappiamo quanto il matrimonio sia la palestra più difficile da frequentare per sforzi e impegno. La favola da lui descritta si arricchisce di un figlio “la nostra vita, il nostro sogno”, ed il quadretto si completa. Può anche lui esibire la famiglia felice , sentirsi integro, uomo, padre appagato. Nelle frasi che seguono, nessuna sfumatura di emotività traspare, incapace di parlare d’amore, tutto si concentra su beni materiali.
Gite, vacanze al mare ed in montagna, “non ci siamo privati di niente, non abbiamo avuto problemi di nessun genere”.
Ed anche rispetto al bambino nessuna forma affettiva.
Non scrive lo abbiamo amato, ma “abbiamo accudito” Andrea nei minimi particolari.
Dimenticando poi che la separazione era avvenuta un anno prima, imperterrito e cieco dice “tutto bellissimo, fino al mio mal di schiena”.
Mal di schiena che lo fa cadere in una depressione, ma non fa cenno al perchè la separazione avviene, scotomizza, confonde i piani, si trincera ma trova il tempo pero’ di sbattere in faccia alla ex moglie il suo livore, la sua rabbia, sputa sentenze e da responsabilità. E contraddice i momenti bellissimi parlando di uno stato d’animo e di incomprensioni che duravano da ben 4 anni. Iris colpevole d essere felice senza di lui, Iris che voleva stare bene, Iris superficiale che non ha tenuto fede affinche’ morte non vi separi.
Si avvia alla fine, palesando un moto di finta compassione.
“È un vero peccato, non ci mancava niente per poter fare una vita tranquilla e serena, senza alcun problema, una famiglia perfetta”.
E poi dopo la denigrazione l’affondo.
Tu madre degenere che hai distrutto il mio castello di sabbia, io padre perfetto al punto che …”io e Andrea non potevamo stare distanti un attimo, partiamo per un lungo viaggio, lontano dalla sofferenza”.
Continua con vile superbia, arroganza, crudeltà .
“Tu Iris potrai ora goderti la tua vita da sola”, come se una madre potesse mai sopravvivere alla morte di un figlio.
Finale teatrale, appello ai biker “accompagnateci con le Harley”, degno finale di chi probabilmente e’ stato sempre un fantasma, non visto nella vita.
Chi si occupa di suicidio, sa che viene anche chiamato “tormento della psiche”, qui l’unico tormento era l’assillo perenne di ciò che aveva perduto e a cui probabilmente non era stato in grado di dare preziosità. La scelta del suicidio è la risposta inadeguata alla frustrazione dei bisogni che il soggetto avverte. Iris aveva scelto una nuova strada, Iris aveva infranto il suo sogno e lui era rimasto vuoto a gestire la sua impotenza. Persa ogni possibilità di ottenere qualcosa, finiti i tentativi di opporsi, di imporsi sulla compagna, non restava altro che la vendetta, ma doveva essere una vendetta crudele, cattiva, una vendetta perenne che avrebbe schiacciato ogni tentativo di quella madre che aveva pensato solo a se stessa, quel materno che aveva osato chiedere la separazione frantumando lo specchio di Biancaneve in mille
pezzi , l’ideale di famiglia che l’operaio di Rivara aveva solo e soltanto nel suo immaginario. La depressione lasciamola stare…
Virginia Ciaravolo psicoterapeuta/criminologa