DI CLAUDIA SABA
Claudio Baima Poma, il papà di Rivara Canavese, l’uomo pieno d’amore verso suo figlio.
Un bambino che si affidava completamente a lui.
Che prendeva quella mano sicura tra le sue e si lasciava guidare.
Che si fidava ciecamente di quel papà “cosi buono”.
Quel papà che non vedeva l’ora di portarlo al mare, al parco, ovunque potesse stringerlo tra le braccia e mostrargli tutto il suo amore.
E una mamma che teneva così tanto a quel bambino da trasferirsi a vivere vicino al suo ex compagno pur di non staccarlo da lui.
Di non fargli vivere il trauma della loro separazione e vederlo felice.
Felice di abbracciare quel papà
che gli voleva così tanto bene.
Da morire.
Quel papà nascondeva, in cucina, una busta con 70 proiettili calibro 7,65.
Proprio come quelli utilizzati per caricare la pistola con cui ha ucciso il figlio e poi se stesso.
Da mesi preparava l’omicidio.
Voleva solo uccidere il figlio e suicidarsi oppure aveva in mente di ammazzare anche qualcun altro?
Dubito abbia ucciso soltanto perché depresso…
Una storia di possesso, odio, rabbia, rancori repressi.
Una storia comune ormai.
Una tragedia che investe sempre più
donne e bambini.
Che continuano a morire nell’indifferenza di uomini e donne che giustificano, alleggeriscono e assolvono le coscienze di chi uccide.
E non chiamatela follia.
Questa e’ crudeltà.