SETTEMBRE 1943 – CEFALONIA UN ECCIDIO DIMENTICATO

 

DI VINCENZO G. PALIOTTI

Il 22 Settembre 1943 ebbe inizio un evento tragico, uno dei tanti, che si protrasse fino al giorno 28 e si concluse con l’ennesima strage efferata dei nazisti che sull’Isola di Cefalonia trucidarono la spedizione italiana ivi dislocata, conseguenza del “tradimento” per l’armistizio che gli italiani avevano firmato con gli alleati l’8 Settembre.

La strage seguì al rifiuto dei militari italiani, comandati dal generale Antonio Gandin, di consegnare le armi ed arrendersi. Il Generale Gandin cercò di prendere tempo con l’intenzione di mediare, nel frattempo informò i comandanti di tutti i reparti dell’ultimatum tedesco. Gandin poi seguì un’insolita procedura chiedendo agli stessi soldati cosa fare, una sorta di referendum. La risposta fu univoca e decisa, non solo non si dovevano consegnare le armi ma utilizzarle per combattere proprio contro di loro, i tedeschi. In seguito, dopo la fine della guerra, questo atteggiamento di Gandin fu molto criticato, qualcuno addirittura lo tacciò di tradimento, cosa che poi fu smentita dai pochi superstiti di quella strage tra i quali alcuni ufficiali che, secondo quando assunsero il Generale volle sondare l’umore generale ma in realtà aveva già preso una decisione, quella di resistere.

La spedizione italiana era composta, oltre che dalla Divisione Acqui, dalla 2^ compagnia del VII Battaglione Carabinieri Mobilitato più la 27^ Sezione Mista Carabinieri; dai reparti del 1° Battaglione Finanzieri Mobilitato, dal 110° Battaglione Mitraglieri di Corpo d’Armata, dal CLXXXVIII Gruppo Artiglieria di Corpo d’Armata,  dal III Gruppo contraereo, dai marinai che presidiavano le batterie costiere, il locale Comando Marina e tre Ospedali da Campo per un totale di circa 12.000 uomini (Fonte Wikipedia). Di questi uomini ne morirono più di 8.000. Lo stesso Generale Gandin, 193 Ufficiali, furono fucilati tra il 24 ed il 25 Settembre in più 17 marinai che furono uccisi dopo di aver seppellito i corpi dei loro commilitoni trucidati in precedenza. I sopravvissuti, quantificati in una sessantina, trovarono rifugio tra la popolazione e/o tra i partigiani greci. Il famosissimo storico Arrigo Petacco ha calcolato i caduti di Cefalonia in oltre 400 Ufficiali e 5.000 soldati, ai quali vanno aggiunti 2.000 periti in mare che i tedeschi avevano caricati su navi, per essere trasferiti in luoghi di prigionia per poi affondarle per mezzo della loro artiglieria e degli Stukas, caccia bombardieri. In tutto questo i sopravvissuti furono meno di 4.000.

Per questo eccidio il solo che fu processato a Norimberga fu il Generale Hubert Lanz a capo del XII Corpo d’Armata truppe da montagna della Wermacht che venne condannato a 12 anni di reclusione ma ne scontò solo tre, la pena fu così mite perché, vergognosamente, nessuno da parte italiana si presentò a testimoniare al processo. Nel 1964 la Germania aprì un’inchiesta sulla vicenda con il contributo di Simon Wiesenthal, noto “cacciatore” di nazisti che indago e riuscì a rintracciare Adolf Eichmann definito “il contabile della Shoah”. Il caso fu archiviato quattro anni dopo dalla procura di Dortmund.

La stessa procura di Dortmund riaprì il caso nel 2001 in quell’occasione il Magistrato tedesco Ulrich Maass, intervistato nel corso di una puntata della trasmissione La Storia siamo noi” di Giovanni Minoli ebbe a dichiarare: Io penso che tutti debbano sapere della vicenda di Cefalonia. E’ accaduto molti anni fa ma se ne dovrebbe parlare. Per come la vedo io è stato uno dei più grandi crimini commesso dall’esercito tedesco”. Fu esaminata allora la posizione di sette ufficiali della Wermacht, tra questi vi era il capo del plotone di esecuzione Otmar Muhlhauser, che fucilò il Generale Gandin, ma questi fu poi prosciolto dalla procura di Monaco di Baviera nel 2007 perché il suo reato non rientrava nella categoria dei crimini di guerra. Stessa sorte subirono gli altri sei indagati.

Solo dopo l’intervento di due donne italiane che persero il padre a Cefalonia, la Procura Militare di Roma aprì un nuovo fascicolo, del 2009, chiamando sul banco degli imputati il solo Muhlhauser, non si poté però fare nulla perché il 1° luglio dello stesso anno il militare, ormai ottantanovenne, morì e così il processo terminò nel Novembre del 2009. Nei primi mesi dell’anno successivo il Tribunale Militare di Roma intraprese una nuova azione legale nei confronti di Gregor Steffens e Peter Wrner, ottantaseienni, appartenuti al 966° Reggimento Granatieri da fortezza, accusati di aver ucciso 170 soldati italiani che si erano arresi. I due erano già stati sentiti dalla procura di Dortmund nel 1965 e 1966 dichiarandosi innocenti e così si sono dichiarati anche al Tribunale Militare di Roma, indagini sono ancora in corso.

Solo nel 2013, ben 70 anni dopo quei fatti, il Tribunale Militare di Roma ha riconosciuto le responsabilità penali del caporale della Edelweiss Alfred Stork condannandolo all’ergastolo in esecuzione dello specifico ordine di Hitler di trattare come ribelli i militari italiani in spregio delle convenzioni internazionali che, anche all’epoca dei fatti imponevano un trattamento a militari che avevano ormai deposto le armi. Stork aveva, in precedenza, già confessato di aver preso parte alle fucilazioni degli Ufficiali della Divisione Acqui a Cefalonia.

In tutto questo, Cefalonia per essere riportata alla memoria ha dovuto attendere che la TV trasmettesse una fiction in ricordo di questo episodio di sangue messo in atto dalla ferocia senza pietà dei nazisti.

Tutti gli atti di questo eccidio sono stati per anni ignorati, chiusi in un armadio nell’archivio del Ministero della Difesa. Ignorati anche perché i governi dell’immediato dopoguerra ritenevano pregiudizievoli, per i contenuti, per i rapporti tra Italia e Germania. Sono passati tanti governi ma il culto di insabbiare, in nome della “ragione di stato”, è rimasto anche se questo ha significato impunità per i colpevoli e oblio per le vittime.