DI EMILIANO RUBBI
Qualche giorno fa mi sono preso del “classista” perché ho fatto notare che siamo il paese con meno laureati in Europa assieme alla Romania, il paese che guida la classifica europea per quanto riguarda l’analfabetismo funzionale assieme alla Spagna, il paese europeo nel quale, secondo uno studio dell’Ocse, la percezione dei cittadini è più distante dalla realtà dei fatti su una moltitudine di temi di attualità.
In pratica, secondo molte persone, far notare che siamo diventati un paese profondamente ignorante, è “classista”.
E sapete perché?
Perché da anni, ormai, la politica e buona parte dell’informazione fanno a gara a spiegarci che “la colpa non è del popolo”; che “il popolo ha sempre ragione”, che “il mondo l’hanno rovinato quelli in giacca e cravatta”, i famosi “professoroni” nemici giurati di ogni partito o movimento populista.
La cultura, per buona parte del nostro paese, ormai è vista come un disvalore.
Così fioccano i no mask, i no vax, i negazionisti, i no 5g e tutto quel campionario di idioti che ormai abbiamo imparato tristemente bene a conoscere.
Perché la parola del tizio con la 3a media che si informa sui siti internet, per tutti loro, vale quanto quella dello scienziato, anzi, di più, perché il suddetto tizio informato non è pagato da chissà quale potere forte.
Tutto questo, probabilmente, è iniziato qualche anno fa, quando Beppe Grillo gridava sul palco che bisognava mettere una “massaia che sa far quadrare i conti a casa” a fare il ministro dell’economia.
E molti hanno creduto che fosse un ragionamento sensato.
Ad alcuni di noi, lì per lì, è sembrato di vivere dentro un film distopico, poi ci siamo abituati.
Fatto sta che oggi, anche a sinistra, far notare che oggi è urgente innalzare il livello culturale medio del paese, risulta un discorso “snob”, “classista”.
Forse in molti hanno dimenticato la lezione di Gramsci.
Non ci sarà mai modo di correggere gli errori sistemici nei quali siamo immersi, dal razzismo alla violenza, dal sessismo all’incapacità di distinguere chi si approfitta di loro politicamente, se non si parte dalla cultura.
Perché, da sempre, un popolo ignorante è più facile da controllare, da raggirare.
Basta agitargli un “nemico immaginario” davanti agli occhi per ottenere un consenso plebiscitario.
L’aveva capito Goebbels (e prima di lui Le Bon) e di sicuro non lo hanno dimenticato gli attuali leader populisti e sovranisti.
La differenza tra l’egemonia culturale teorizzata da Gramsci e gli attuali, ridicoli, fan della “competenza” sta nel disprezzo per il popolo.
Bisogna amare il popolo, per volere che sia migliore. E Gramsci amava il popolo.
I “progressisti” attuali, nella stragrande maggioranza dei casi, lo disprezzano.
Vedono l’ignorante come uno al quale togliere il diritto di voto, non come un compagno da aiutare, come una vittima inconsapevole di un sistema malato.
Ecco: il bug del sistema sta tutto lì.
Così le destre populiste e sovraniste hanno buon gioco a dire alle masse di ignoranti che va tutto bene, che sono perfetti così, che hanno una marcia in più degli altri “perché sono italiani”, tanto, dall’altra parte, hanno quelli che, effettivamente, li disprezzano.
E voi chi votereste? Per chi simpatizzereste?
Per uno che vi dà del coglione e vi vuole togliere il diritto di voto o per uno che vi dice che siete dei gran fichi così come siete?
La sinistra ha abbandonato quelle persone e le ha lasciate nelle mani della destra populista, è un dato di fatto.
Parlare di “cultura” non è e non deve essere un modo per tracciare una riga tra “noi” e “loro”, chiedere cultura per tutti, rivoluzionare un sistema che la nega, dovrebbe essere il primo punto nell’agenda di qualsiasi partito che voglia dirsi “di sinistra”.
E ora, se volete, ripetetemi pure che sono classista.