DI CLAUDIA SABA
È il 28 settembre 1928
quando il biologo scozzese Alexander Fleming si accorse che in una capsula dimenticata aperta, i batteri non erano proliferati per via della presenza di una muffa.
Probabilmente contaminati da un fungo propagatosi da un vicino laboratorio.
Una casualità che però consentì a Fleming di isolare la preziosa sostanza antibiotica, la penicillina, destinata a salvare milioni di vite.
Ma prima di lui, un altro ricercatore, il molisano Vincenzo Tiberio, aveva già scoperto le proprietà benefiche dell’antibiotico,
nelle muffe di un pozzo d’acqua.
Le conclusioni “Sugli estratti di alcune muffe” che ne ricavò, pubblicate negli Annali di Igiene Sperimentale, finirono nelle mani di altri studiosi, tra cui lo stesso Fleming.
E fu proprio quest’ultimo, insieme ai patologi Florey e Chain, ad ottenere nel 1945 il “Nobel per la Medicina”, “per la scoperta della penicillina e dei suoi effetti curativi in molte malattie infettive”.
Le scoperte in campo scientifico sono da sempre il risultato di un lungo e meticoloso lavoro di ricerca in laboratorio e di osservazione della natura. In molti casi, tuttavia, è anche questione di fortuna.
Soprattutto quando il riconoscimento arriva dopo l’intuizione di altri.