DI MARCO PROIETTI MANCINI
Una donna affronta un aborto terapeutico.
All’atto di decidere cosa fare del feto, sceglie di non far svolgere nessun rito di celebrazione, né di sepoltura.
Affida alla funzione preposta la scelta e la decisione di cosa fare del feto, come previsto dalle leggi e dai regolamenti. Le dicono che comunque il feto verrà sepolto in un’area del cimitero Flaminio (per i romani, Prima Porta) riservata a questi casi.
Dopo un certo periodo di tempo, si reca comunque al cimitero.
Lì scopre che su quelle tombe, comunque identificate da una croce, vengono messi i nomi delle madri che – come lei – hanno abortito.
Su una croce, su una tomba sotto la quale è sepolto il feto che lei ha abortito, c’è il SUO nome, c’è la data nella quale ha abortito.
Non entro nel merito etico-legale dell’aborto. Ci entrerei, ma non è questo il mio scopo.
Lo scopo, è evidenziare che mettere il nome della madre, con la data dell’aborto, sulla croce di una tomba che contiene il feto che lei ha abortito (che ha dovuto abortire, ma anche se non avesse “dovuto”, anche se non fosse stato un aborto terapeutico avrebbe potuto essere un aborto consentito dalla legge) è un gesto di una violenza enorme. Un gesto cattivo, spregevole.
Un gesto che io spero non sia previsto da nessuna legge e che possa essere identificato chi l’ha fatto, chi lo ha compiuto, perché venga perseguito ai sensi della legge.
E se previsto dalla legge, io spero che questa legge venga cambiata, perché si smetta di perseguitare, di colpevolizzare, di criminalizzare e ostacolare delle donne che non fanno altro che esercitare un proprio diritto. Terapeutico o volontario che sia.
Ripeto una domanda che faccio spesso, voi siete proprio sicuri che sotto sotto tra l’italia del 2020 e quei paesi a governo islamico che criticate tanto, ci sia poi tanta differenza?