DI DANIELA YAYA DI CAMILLO
Abbiamo un premio Nobel per la letteratura: una donna che ha “vinto” il premio Pulitzer nel 1993, che ha scritto 12 antologie ma che non viene menzionata nell’annuncio per le sue capacità ma nei titoli di pagina dei quotidiani e rotocalchi, viene riportato il suo genere: donna. Non abbiamo un’identità non abbiamo un merito abbiamo solo una caratteristica: siamo donne, quindi non abbiamo quasi neanche un nome. Un riconoscimento alla capacità come il nobel? Un curriculum da paura? No, la cosa importante è ribadire che questo premio è stato elargito con grande magnanimità a una donna: questo fa di noi qualcosa di diverso, qualcuno di meno capace; non siamo in grado di fare, non siamo in grado di prendere e non siamo in grado di dare quasi nulla, se non venire riconosciute con grande “altruismo” e immensa “generosità” dell’universo maschile. E di questo patriarcato che non ci molla. Siamo solamente in grado di essere premiate perché qualcuno ha detto che unatantum la donna va premiata? Per ricordarle che tutto sommato ogni tanto viene riconosciuta. Questo deve cambiare: è questo che non va bene e tutto quello che appartiene al genere femminile ribadito come solo del genere femminile. La domanda nasce spontanea: questo Premio Nobel non è legato alla capacità ma è legato alla magnanimità consolatoria della nostra società patriarcale? Da qui in poi tutto da rifare. Complimenti da parte di tutte a Louise Glück, poetessa e saggista americana, per “la sua inconfondibile voce poetica, che con austera bellezza rende l’esistenza individuale esperienza universale”[…]ma questo lo leggiamo solo tra le righe degli articoli.