OVVERO, LA CONVERSIONE DI SALVINI
DI ALBERTO BENZONI
Ovvero, la conversione di Salvin
Da qualche tempo, Salvini sta prendendo lezioni di liberalismo/liberismo sotto la guida di Marcello Pera. Dati il valore del maestro, e le predisposizioni dell’allievo, difficile che portino al conseguimento di un qualche titolo di studio. Rimane comunque il fatto che il Nostro si esercita anche per conto suo e davanti al pubblico.
Sguardo non più imperioso anche perché rivolto verso terra o verso un orizzonte lontano. Toni bassi e non aggressivi. Invito a riflettere e a ripensare tanto più denso di significati quanto più vago. L’allontanamento dal duo Borghi/Bagnai per arrivare più rapidamente alla corte di Bonomi. Il tutto seguito dalla stampa con aspettative e malcelata simpatia.
A chiarire poi le ragioni della sua (ri)conversione e insieme la natura dell’operazione in corso a livello europeo, la sua disponibilità a trasferire i rappresentanti della Lega dal gruppo cui partecipa la Le Pen a quello del Ppe; trasferimento rinviato però, come spiega lo stesso Salvini, al giorno in cui, dopo il ritiro della Merkel, la Cdu si trasformerà in un partito conservatore aggressivo e senza complessi.
Il ridimensionamento dei populisti accompagnato dalla svolta a destra del fronte moderato. Un processo che, in forme diverse, si sta verificando in quasi tutti i paesi d’Europa occidentale. In Spagna Vox arranca; ma il Pp sta avviando, assieme alla magistratura, una lotta senza quartiere contro il governo Sanchez al costo della paralisi delle istituzioni. In Francia il Rn stagna, mentre Macron guarda sempre più verso destra in vista della sua rielezione. In Gran Bretagna Farrage è scomparso dalla scena mentre Johnson sta avviando uno scontro aperto contro la sinistra, la sua ideologia e le grandi istituzioni (Bbc, università, centri culturali, scuola) luoghi deputati del politicamente corretto. In Germania l’Afd perde terreno, mentre il suo gruppo dirigente punta a emarginare, e magari espellere, i sostenitori di un populismo modello “sangue e suolo”, trasformandosi in cane da guardia degli interessi tedeschi, in attesa di stabilire un rapporto con l’ala destra della Cdu. In Austria, i populisti, ora divisi tra loro, crollano a Vienna a vantaggio dei popolari. In Grecia, viene sciolta, come organizzazione criminale, Alba dorata mentre il governo applica verso i migranti una linea di durezza senza precedenti ma nella linea che sta vincendo un po’ dappertutto in europa.
Tutto ciò era nell’ordine naturale delle cose. Perché, quando il gioco si fa duro, quando riguarda il ruolo stesso dello stato, quando si articola intorno a scelte assai diverse tra loro ma tutte rilevanti per il presente e per il futuro, allora a giocarlo devono essere i duri.
E, allora, o di qua o di là. Un processo di chiarimento in cui i populisti senza aggettivi, i contestatori parolai, i “né di destra né di sinistra”, i riformisti senza qualità, i salvatori della patria perché convinti di essere tali, tenderanno o a scomparire o a rivelare la loro vera identità.
Naturalmente, il processo di chiarimento, avanzato all’interno della classi dominanti – divise tra coloro che vogliono difendere a tutti i costi il sistema esistente e coloro che pensano che, per sopravvivere, debba cambiare anche notevolmente – non è, nel nostro campo, nemmeno iniziato.
Una situazione che non può durare a lungo. Pena un disastro generale.