DI CLAUDIO KHALED SER
Nessuno sa come e quando finirà questa “tragedia”.
Possiamo solo sperare che si trovi un rimedio, un vaccino, un qualsiasi medicamento che ci aiuti a superare questo momento.
Salveremo per lo meno il corpo.
Ma quelle ferite sociali, le paure nell’avvicinarsi agli altri, la perdita di posti lavoro e la chiusura di molte attività, quello non riusciremo a salvarlo.
Saremo nuovamente nel dopo-guerra con le nostre vite bombardate e molte macerie a ricordarci la nostra perenne fragilità.
Dovremo ricostruire, ma niente tornerà come prima.
Non i mesi del necessario “sequestro” non i limiti imposti, non i metri che ci hanno obbligato a distanziarci, soprattutto da coloro che invece avremmo voluto abbracciare.
Chi restituirà il tempo ai bambini ?
Quel tempo perso nei cortili, quello delle corse in bici, quello dei calci ad un pallone sognando d’essere campioni ?
Chi ci ridarà la possibilità dell’ultima carezza a coloro che abbiamo perso ?
Chi toglierà quel vetro che ci ha separato dal letto di un ammalato, impedendoci di consolarlo e di mentirgli dicendo “andrà tutto bene?”
Ne usciremo, ma a quale prezzo ?
Se almeno il Male ci fornisse la possibilità di riscoprire il Bene, qualcosa l’avremmo salvato.
Se avessimo riscoperto le priorità della Vita, quali sono veramente le cose importanti, forse ripartiremmo con uno spirito diverso e con più fiducia nel prossimo domani.
Se il Dolore ci avesse unito anziché frammentarci, se la Paura di ciascuno avesse trovato conforto nella paura di tutti e, la Solidarietà avesse preso il sopravvento sull’Egoismo, forse, tra le macerie avremmo trovato una moneta da spendere.
Non mi pare che sia andata cosi’.
Siamo tutti più poveri, più poveri dentro.
E ancora più decisi a salvare il “poco di nostro” nella paura di perdere anche quello che ci é rimasto.
Nel 45′, dopo la fine della guerra, gli Uomini e le Donne si strinsero nel Patto della Ricostruzione, ognuno aiutava l’altro a rimuovere le macerie, a ricostruire le case distrutte, a confortare le famiglie per le perdite subite.
Il Paese trovo’ la forza per ricominciare.
E’ a quel momento che dobbiamo tornare, a cui dovremo tornare, se vogliamo scrivere un futuro.
E’ al senso d’appartenenza, alla lotta contro ogni divisione, frammentazione, esclusione.
Ripeto e ribadisco : tornare alla Solidarietà.
Mettere da parte l’IO per il NOI, coltivare l’orto sapendo che fa parte del campo, vedere nell’altro quello che unisce e non quello che divide.
Riscoprire il senso dell’unità.
Non c’é dubbio che questa pandemia ci abbia incattiviti e che le serate cantando dai balconi erano solo manifestazioni folk che volevano nascondere la “separazione e la distanza” sotto l’aureola di una finta comunione.
Eravamo tutti sul NOSTRO balcone, ben lontano dagli altri.
Ritorneremo per strada, senza mascherine.
Ma dovremo toglierci anche le maschere.
Ci vorrà del tempo prima che ricominceremo a correre, ma riprenderemo se non altro a camminare. tenendoci per mano se ne saremo capaci.
Allora, forse, il futuro lo potremo nuovamente disegnare.
A colori.