DI MICHELE MARSONET
Tempo fa i grandi quotidiani Usa venivano citati come esempi di correttezza e di obiettività nell’informazione. Ogni volta che, in Italia, un giornale dimostrava d’essere fazioso pubblicando notizie chiaramente deformate per favorire questa o quella parte politica, era d’obbligo citare il New York Times e il Washington Post per mostrare quanto fossero fortunati i lettori americani a disporre di organi d’informazione dediti a diffondere notizie vere, per quanto sgradevoli potessero essere.
Ebbene, quel tempo è, ahinoi, finito. Nel Paese leader dell’Occidente la stampa sta attraversando una crisi profonda, accomunata in questo ai media in genere e, soprattutto, al mondo accademico, vera origine dei fenomeni del politically correct e della cancel culture che stanno letteralmente stravolgendo l’anima della nazione.
Un episodio piccolo, ma assai significativo, si è avuto pochi giorni orsono, in occasione del barbaro assassinio dell’insegnante liceale Samuel Paty in Francia da parte di un giovane islamista di origine cecena.
Per informare dell’episodio i suoi lettori, il New York Times non ha trovato di meglio da dire titolando che la polizia francese aveva sparato, uccidendolo, un uomo dopo un attacco mortale in strada con un coltello. In seguito il titolo è stato leggermente modificato, aggiungendo che la polizia aveva ucciso un uomo colpevole di aver decapitato un insegnante per strada.
Nessun cenno al fatto che, in realtà, si trattava di un’esecuzione rituale di estrema ferocia. Il giovane islamista ha decapitato il professore, lasciando la sua testa recisa e sanguinante sull’asfalto, perché Paty aveva osato mostrare in classe agli allievi alcune vignette satiriche del giornale Charlie Hebdo.
Di qui la protesta di alcuni studenti di fede islamica e delle loro famiglie.
Con l’appoggio di esponenti religiosi, è quindi partita sui social network una campagna che invocava la vendetta immediata e la punizione dell’insegnante blasfemo. Vendetta subito giunta e terribilmente efficace, con la testa mozzata deposta sulla strada quale monito per il futuro.
Il problema è che, dal titolo del New York Times, era facile per un lettore concludere che la notizia principale non era affatto la decapitazione quanto, piuttosto, il fatto che la polizia aveva ucciso l’attentatore. Le reazioni all’evidente faziosità del titolo ci sono state, ma meno numerose e indignate di quanto si potrebbe pensare (soprattutto in un Paese come gli Stati Uniti).
Un commentatore ha scritto che, dopo aver letto il titolo parecchie volte, non poteva credere ai suoi occhi, ma alla fine ha dovuto constatare con amarezza che si trattava davvero di una titolazione del New York Times. Dal canto suo il giornalista e scrittore Andrew Sullivan si è limitato a dire: “Incredibile, ma questo oggi è il New York Times”. Non risultano correzioni di rotta da parte della redazione.
D’altra parte, è noto che in essa è in atto da tempo una lotta tra una maggioranza di redattori che sposano senza riserve i dettami del politically correct e della cancel culture, e una minoranza (perdente) che si sforza di preservare le tradizioni pluraliste del quotidiano. E si sa pure che alcuni sono stati costretti a lasciare il giornale proprio per il clima di intimidazione che vi si respira.
Ancora una volta, dunque, siamo costretti a chiederci dove stanno andando gli Stati Uniti. E’ davvero soltanto colpa di Trump se siamo giunti a questo punto, come molti sostengono? O non è invece lecito pensare che la colpa debba essere attribuita anche alla sinistra radicale che ormai domina il Partito Democratico?