DI REMO CROCI
L’ho raccontato in tv. L’ho scritto in un libro. Ora invece lo vivo. E’ dentro di me Il Covid-19. Me lo ha detto un tampone. Un lungo e sottile bastoncino ovattato infilato nella gola e nelle narici. E lo ha scovato. S’era nascosto. In silenzio tanto da non essermi accorto che fosse dentro di me. In tanti giorni ho controllato la febbre . Mai oltre i 36 e 4. E mai sotto i 95 al test del saturimetro. Mai perso l’olfatto. E’ un virus subdolo hanno detto gli esperti. Ora lo confermo anch’io.
L’ho saputo stamattina. Avevo da poco tagliato la barba. E’ subito lo squillo. Dal laboratorio che ha processati il tampone mi hanno comunicato di essere positivo.
E’ stato un attimo. Poi ho iniziato ad organizzarmi. Ho subito pensato che dovevo concentrarmi su come affrontarlo uno che ti colpisce alle spalle. Un vigliacco. Allora ho detto a me stesso che avrei dovuto prenderlo di petto. Proprio come quando mi accade con una persona vigliacca. Lo affronto e gli dico ciò che penso e lo lascio lì a meditare il suo gesto.
Con il COVID-19 ho deciso di fare così. Io di fronte a lui. Senza paura. Perché fra i due deve essere lui ad averla. Io ho una testa e ho un cuore. Lui solo un’arma. Non può ragionare. Colpisce in serie.
Io ragiono e seguo non solo l’istinto ma affido la mia salute a chi mi ha dimostrato di impegnarsi a studiarlo per affrontarlo. Così mi sono rivolto ai medici che sono in prima linea. Quelli che abbiamo chiamato eroi a marzo e che oggi qualcuno sta provando a declassare.
Gli eroi restano sempre eroi. I qualcuno invece si trasformano in quaquaraqua’.
Ho comunicato di essere positivo ai miei familiari, a chi lavora con me e agli amici.
Va fatto per tutelarli e per averli ancora più vicini. Con i compagni di lavoro, quelli delle troupe, siamo
ormai una famiglia. E quando uno di noi e’ costretto a restare a casa tutti gli altri gli sono vicino. Così oggi da Nicola, Gunther, Adalberto, Giulio, Simone, Carletto, Lorenzo e Ciccio ho avuto conferma che non siamo solo colleghi sul campo. Siamo di più. E quel di più per chi resta a casa ha un valore altissimo. Ti aiuta a tornare più forte di prima e a stare con chi ha un pensiero al di là del lavoro. Il nostro spesso può far pensare che chiuda le porte al cuore. Ci accusano di essere cinici perché raccontiamo la cronaca nera, quella che secondo loro non dà spazio ai sentimenti. Lì annulla, li calpesta. Invece non sanno nulla. Perché non hanno mai visto un operatore piangere mentre inquadra un particolare o fissa la camera davanti a chi racconta un dramma. Non hanno mai visto un giornalista abbracciare chi ha perso un figlio o un genitore.
La pandemia a noi ha mostrato immagini che non cancelleremo. Quelle viste nelle terapie intensive. Mi ritengo fortunato perché posso combattere questo match a casa mia. Un luogo che conosco meglio del mio avversario. E qui ve lo prometto, nel ring di casa, lo metterò ko. In meno di 15 riprese.