DI RINO GIRIMONTE
C’è sempre un Sud più giù del nostro cuore, ci sono i miei piedi che sono il sud del mio sguardo, piedi sempre in affanno, piedi che hanno calzato scarpe strette, attraversando secoli e deserti, inseguiti da tutte le fughe scappate in fretta, da quelle rimaste indietro a prender fiato, quelle partite con il pianto dell’abbandono, il bruciore di sale sulle ginocchia “scurciate”, quegli azzurri c’inseguono e feriscono i ricordi, annaspano sotto il peso della penuria, della fatalità, di tutti i buchi neri sparsi nell’anima, piedi che volano sulla groppa dei desideri ma inciampano in tutti i no schierati a tartaruga, a difesa dell’esistente.Tutto al Sud avvieve per grazia concessa, la carta dei diritti è pagina in bianco, si scrive inginocchiati e devoti gridando al miracolo e baciando la mano. Una terra, un paese, una minestra di sentimenti, di valori e disvalori, in quella pentola si cuoce di tutto, il dosaggio degli ingredienti qualifica la idiosincrasia di un popolo. Siamo fatti di eccessi, di eccellenze e di miserie, abbiamo orgoglio di appartenenza, siamo accoglienti fin quando non diventiamo respingenti, apriamo le braccia al mondo fin quando il mondo svolta l’angolo e “a un can forestiere tutti quelli della contrada abbaiano addosso”. Siamo un lamento che non si guarda dentro, e il dolore nostro duole meno se si trova qualcuno a cui dare la colpa, che è sempre degli altri, non accettiamo neanche la correità, coltiviamo lo slancio sincero per l’abbraccio e l’istinto nascosto dello scorpione. La tavola sempre imbandita, c’è sempre un brindisi in ricamera, un tumulto di tarantella che non si stanca, qualcuno da ossequiare, ci rinchiudiamo nel nostro guscio, in orgoglioso isolamento, Calabria is different, salvo cercare mammelle da cui succhiare prebende ed euri europei, che servirebbero per migliorare la vita di tutti e non le tasche di pochi. Ci siamo fatti spolpare senza batter ciglio, episodi di resistenza ai soprusi si contano sulle dita di una mano, ci affidiamo ai cacicchi e alla Madonna, ai commissari, l’esame di cittadinanza attiva non è previsto, latita l’impegno civile, circoscritto a settori minimi di popolazione, con l’emigrazione le lotte degli operai del sud sono sfilate per le vie di Torino. Riace è una ferita. Ci sono giovani amministratori perbene, con voglia di portare vento fresco, ci sono iniziative culturali di prima grandezza, come il Premio Letterario Caccuri, gli incontri nel Rifugio di Africo, andiamo orgogliosi delle nostre meraviglie, dei nostri talenti, in tutti i campi, c’è un grande fermento intellettuale ed io spero con tutto il cuore che si espanda, come una buona novella, che vada oltre quella splendida minoranza che la maggioranza ignora e, dopo aver percorso le vie tortuose, dalla Sila alla marina, per l’Aspromonte, circoli come uragano di bellezza che non s’arresta. Abbiamo un passato di civiltà, di storia, di cultura eccelse su cui poggiano i nostri piedi e di cui andare fieri, abbiamo il principio di un rinascimento che ha nomi propri, scrittori, scrittrici, artisti, uno stimolo forte per una nuova narrazione della Calabria è in atto ma, gran parte dei cittadini, purtroppo, non se ne nutre. Chissà se meritiamo essere altro o è più facile la lamentela e rifugiarsi nei sogni degli altri, in una sorta di narcolessia o nel gratta e vinci. Purtroppo centinaia di migliaia di giovani con le loro speranze, le loro conoscenze non torneranno più, e quelli che resistono e restano sono costretti a tenere ben piantati i piedi per terra, la schiena dritta alle lusinghe del malaffare. Sarà forse questa l’unica maniera per tornare a sognare?