DI VIRGINIA MURRU
Poche settimane fa, la Giunta guidata da Christian Solinas ha approvato la delibera con la quale la Regione sostiene la candidatura della Sardegna per l’iscrizione del suo paesaggio culturale – in particolare per la rilevanza archeologica dei monumenti di epoca nuragica – nella lista del Patrimonio Universale dell’Umanità.
A questo fine la Regione concede il suo patrocinio al progetto “Sardegna verso l’Unesco”, impegnandosi ad appoggiare ogni iniziativa volta a sostenere le istanze del Comitato promotore. Tutti i rappresentanti politici hanno aderito, la candidatura è stata approvata da Giunta, Consiglio Regionale e centinaia di Comuni.
L’immenso patrimonio archeologico, che è davvero simile ad un museo a cielo aperto, merita questo riconoscimento, al quale aspira tutta l’isola. E’ una questione ‘identitaria’, dato che il patrimonio di epoca nuragica e prenuragica definisce l’identità dell’isola.
Sarà l’Unesco, che si riunisce una volta l’anno con i rappresentanti degli Stati membri nella sua sede di Parigi, a decidere se i monumenti nuragici, fieri testimoni di una grande epoca culturale, abbiano i titoli per ottenere il ‘marchio’ di “Patrimonio dell’Umanità”.
Intanto tutto il complesso iter da seguire per la candidatura è già in moto da circa due mesi, ora la Regione si aspetta il sostegno del Governo, e in particolare dal Mibact, ossia il Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo, il cui titolare è Dario Franceschini.
Finora l’Unesco ha riconosciuto un solo monumento di epoca nuragica: la Reggia di Barumini. L’intento del Comitato Promotore del progetto “Sardegna verso l’Unesco”, è quello di ampliare a lungo raggio l’interesse verso il patrimonio archeologico che viene dalla Civiltà nuragica.
Del resto, basterebbe pensare che circa un quinto del patrimonio archeologico della Nazione si trova proprio in Sardegna, con i suoi 7.000 nuraghi, 3.500 ‘Domus de Janas’, Menhir e siti di necropoli, 10.000 torri, Pozzi sacri legati al Culto delle acque, Tombe dei Giganti e tanto altro ancora. In definitiva pochi Paesi al mondo, con il loro patrimonio Culturale millenario, possono competere con questi numeri.
La Sardegna ha già ottenuto il riconoscimento di 2 siti con il prestigioso ‘marchio’ Unesco, si tratta, come già accennato, della Reggia nuragica di Barumini, per la categoria ‘Patrimonio mondiale’, e il ‘Parco Tepilora, Rio Posada e Montalbo’, al quale è stato attribuito il titolo di Riserva della Biosfera. La Sardegna ha ottenuto anche riconoscimenti nell’ambito del ‘Patrimonio immateriale’ Unesco, per il ‘Canto a tenore’ e la ‘Cerimonia dei Candelieri di Sassari’. Quest’ultima, con una iniziativa intrapresa dall’Organizzazione nel 2013, intitolata “Le feste delle grandi macchine a spalla”.
Se l’Unesco non approverà la candidatura della Sardegna in questo ambito, dovrà trovare davvero ragioni che al momento sembrano improbabili. Ma nulla si deve dare per scontato, sarà necessario attendere la prossima riunione dei membri dell’Organizzazione.
Nel sito dell’Unesco in Italia, in tema di ‘paesaggio culturale’, si legge:
“Poiché ciò che rende eccezionale il concetto di Patrimonio Mondiale è la sua applicazione universale e i beni che lo costituiscono appartengono a tutte le popolazioni del mondo, al di là dei territori nei quali esse sono collocati, per essere inseriti nella Lista i siti devono essere di eccezionale valore universale e rispondere ad almeno uno dei 10 criteri previsti nelle “Linee Guida Operative.”
‘Sardegna verso l’Unesco’ è in sostanza un progetto d’inclusione nel Patrimonio Mondiale dell’Umanità, per quel che concerne i monumenti di epoca nuragica presenti nell’isola.
Risale al 2015 l’istituzione di una nuova categoria di riconoscimenti in ambito naturalistico, si tratta dell’”Unesco Global Geoparks”. Di Geoparchi ne sono stati individuati circa 150 nel mondo, in Italia sono 10 , ne fa parte anche il Parco Geominerario della Sardegna, la cui estensione riguarda tutta l’isola, e copre 377 Comuni, con una popolazione di circa un milione e mezzo.
Il Geoparco ha la funzione della conservazione dei valori e le conoscenze legate all’attività mineraria. Il territorio può comprendere otto aree, diverse in base alle caratteristiche dei minerali presenti, e si porta dietro una storia di circa 8 millenni di sfruttamento dei minerali. Che poi costituisce anche la motivazione del riconoscimenti attribuito al Geoparco.
UNESCO è l’acronimo di Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura ed è una costola dell’ONU. E’ stato istituito nel 1946 e fu allora ratificato da 20 Stati, l’Italia entrò a farne parte l’anno seguente. Ora gli Stati facenti parte dell’Unesco sono quasi 200.
L’attuale direttore è una politica francese, Audrey Azoulay.
L’Unesco si occupa di programmi scientifici di carattere internazionale, di cooperazione e alfabetizzazione. Si avvale della consulenza tecnico-scientifico-culturale per i suoi programmi di conservazione del patrimonio culturale e naturale del pianeta, e anche per la tutela dei diritti umani.
L’attività più nota, una delle missioni, è quella di valutare e mantenere una lista di Patrimoni dell’Umanità, ovvero i siti che abbiano grande rilevanza sul piano naturalistico e culturale, la cui conservazione e tutela è importante per la comunità mondiale.
Presentare una candidatura per un sito o qualcosa che abbia una grande valenza sul piano culturale o naturalistico, non è semplicissimo, l’iter è abbastanza complesso, e deve compiere un lungo percorso prima di arrivare sul lungo tavolo dell’assemblea Unesco, al cui giudizio sarà poi sottoposto.
E non costa solo l’imponente impiego di energia e perseveranza, ma soprattutto in termini di risorse richieste per ogni candidatura. In media il costo è di circa 500mila euro, che sarebbero inesorabilmente persi qualora la candidatura non fosse approvata.
L’attività dell’Organizzazione è finanziata dagli Stati membri, che sono tantissimi, come si è visto, e hanno l’onere di contribuire a seconda del loro reddito. L’Italia nel 2018, secondo un’inchiesta della giornalista Milena Gabanelli, ha versato oltre 12 milioni di dollari, più 28 milioni di contributi volontari. Non noccioline.
Il problema è che l’Unesco destina poi alla conservazione dei suoi siti solo il 3% delle entrate, il resto è a carico dei territori che hanno beneficiato del riconoscimento.
Per dirla con un luogo comune, una domanda sorge spontanea: dove finisce questo mare di soldi, visto che proprio nel 2018 l’Unesco ha incassato quasi 800 milioni di dollari? Secondo le norme interne, 320 milioni sono destinati a progetti e personale, il resto per programmi d’istruzione, di carattere scientifico e culturale, per l’alfabetizzazione in aree del mondo svantaggiate.
Nel mondo ci sono 1092 siti protetti, e l’Italia è in assoluto il Paese che ha ricevuto più riconoscimenti, i siti Unesco sono 54, ci segue ad un passo la Cina, con 53 siti.
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