A PROPOSITO DEL BENE E DEL MALE

DI ALBERTO BENZONI


Penso che le elezioni americane siano state uno scontro tra Bene e Male; o, quindi, uno scontro di civiltà. Il che esclude che possano finire con un pareggio.
Si dirà che i due contendenti “non sono all’altezza”: un pazzo scatenato contro uno vecchietto scialbo e moderato. In cui il primo non farà più danni. E il secondo poco o nulla. Qui da noi è il giudizio prevalente. Certo la stampa di destra continua a tifare per Trump e presenta la Harris come “una mulatta intenta a fare le scarpe al nuovo presidente”. Ma questa è la destra. Nell’altro campo, solo il Foglio e la Stampa hanno colto il significato dell’evento (da avversario, onore al merito); ma per essere richiamati all’ordine dai sopracciò (come Mieli e altri) che la sanno lunga e non si fanno incantare da nessuno.
Si aprirebbe, a questo punto, una discussione sulla cultura politica italiana (ivi compresa quella della sinistra di opposizione) e sulla sgradevole mistura di moralismo e di machiavellismo che la contraddistingue. Ma è un dibattito che lascio volentieri agli altri: perché non sarei in condizione per sostenerlo; e perché sarebbe inutile.
Cercherò invece di vedere, insieme a voi, quello che sta succedendo in America e cosa significa.
Per prima cosa, gli Usa sono, almeno a memoria d’uomo, l’unico, dico l’unico, paese del mondo occidentale che ha visto contestare preventivamente, sino a dichiarare di non accettarlo, il risultato di una elezione presidenziale. E per due volte
Nel 1861, l’elezione di Lincoln (con il 40 per cento dei voti…) portò automaticamente allo scoppio della guerra civile; previo tentativo, quella volta, fallito, di assassinare il nuovo presidente.
Una scelta che non aveva bisogno di pretesti fasulli, tipo i brogli denunciati da Trump. Perché le sue ragioni erano ben chiare a tutti.
Per quasi un secolo quella “istituzione particolare” rappresentata dalla schiavitù, si era salvata, grazie al controllo esercitato della classe dirigente sudista sulle istituzioni politiche e giudiziarie. E allora che arrivasse alla presidenza un signore che si era limitato sino ad allora a contestare l’istituzione sul piano morale e di principio, rappresentava un pericolo esistenziale e totalmente inaccettabile.
Quello che accadde allora può aiutarci a capire ciò che accade oggi. Quando l’accusa preventiva di brogli, per definizione massicci, non ha a che fare con la realtà, ma con la sua narrazione politica.
In parole povere, i democratici faranno dei brogli massicci perché è nella loro natura. Perché sono “unamerican”, estranei ai valori originali su cui si basa la civiltà americana e che vanno difesi con tutti i mezzi possibili.
Un’immagine di parte. E, ancora, deformata e paranoica. Ma, in un certo senso, conforme alla realtà.
Il fatto è che (non accadeva dai tempi di Roosevelt) che democratici e repubblicani rappresentano due mondi separati. Ai primi, tutti gli agglomerati urbani; gli spazi aperti al mondo e al nuovo, la cultura, le nuove aree industriali, giovani, donne, bisognosi di tutela: agli altri l’economia, lo spazio di mezzo e la difesa dei valori tradizionali. Ai primi la priorità della salute sull’economia; e l’eguaglianza razziale assieme al diritto alla salute come obbiettivi da conquistare. Per gli altri, l’economia e la difesa della razza bianca. (I Poveri, meglio non tirarli in ballo; quelli senza speranza non hanno votato per nessuno; gli altri, in maggioranza, per Biden). Due mondi totalmente diversi; dove chi vive insieme agli altri ha scelto Biden e chi vive da solo Trump.
Esaminiamo ora i comportamenti dei protagonisti dello scontro. E il suo probabile esito.
Trump e i suoi scagnozzi (non riesco a trovare un termine più duro), hanno puntato, nel tempo, a tre possibili obbiettivi: assegnare la vittoria all’attuale presidente; ritardare e, magari, impedire l’insediamento del nuovo ; e, infine, impedirgli di governare. Ambizioni sempre più modeste. Ma due i connotati comuni: la rimessa in discussione delle regole fondamentali, su cui si basa il buon funzionamento delle istituzioni e la stessa convivenza civile. E, a questo fine, l’induzione alla prostituzione (in mancanza un termine più duro…) delle grandi istituzioni (corte suprema, tribunali, forze armate, servizi di sicurezza, istituzioni locali) destinate a difendere la collettività e a garantire ai cittadini la tutela dei loro fondamentali diritti; al fine di renderle strumenti obbedienti del potere.. Ma la diga ha tenuto e ad ogni livello; se non l’avesse fatto la grande partita sarebbe stata perduta, in America e nel mondo. Mentre adesso è del tutto aperta.
Il partito repubblicano, invece, sinora compatto intorno al presidente.. Consapevole che il suo futuro politico è ormai definitivamente legato al suo, in vista di una comune rivincita. Resa più facile dalla possibilità di bloccare qualsiasi iniziativa della nuova amministrazione.
Ora, è proprio qui che il fronte sta franando. Perché negare a Biden la possibilità di accedere ad informazioni vitali danneggia l’intero paese. Ma soprattutto perché le misure che il Nostro si appresta a varare- un piano anticovid e, soprattutto, un massiccio piano di rilancio dell’economia – sono oggettivamente a vantaggio dell’intera popolazione, e soprattutto, dei suoi ceti più deboli. Contestarle, a difesa dell’austerità fiscale, e da parte di un partito che ha costantemente agito nel senso opposto sarebbe un clamoroso autogol.
A quel punto, i repubblicani avranno di fronte a sè l’alternativa del diavolo: o abbandonare Trump ma per trovarsi in una specie di terra di nessuno; o fare, insieme a lui, una lunga traversata del deserto.
E lunga non per la forza dell’avversario; ma perché il popolo americano, nella sua maggioranza, ha visto l’Abisso e se n’è ritratta inorridita. Avvertendo, esistenzialmente, che erano in gioco i principi, le regole e le istituzioni su cui regge una comunità.
Non è, almeno per ora, la vittoria del Bene e, soprattutto dei Buoni (o, peggio ancora, di coloro che si definiscono come tali); ma è sicuramente la riscoperta del Male. Oggi in America, domani nel mondo. E non in nome di questa o quella ideologia. Ma della a consapevolezza esistenziale che la affermazione del trumpismo nel mondo porterebbe, inesorabilmente, ad una catastrofe generalizzata.
Oggi, siamo travolti dalla ricomparsa dei cavalieri dell’Apocalisse. E cominciamo a capire che il compito, immane, di uscire dal tunnel ha bisogno di solidarietà e di azioni comuni; l’alternativa è quella di essere distrutti separatamente. Oggi il mondo ha bisogno di serenità e di normalità per rimettersi in sesto mentre il clima isterico, di guerra di tutti contro tutti e l’ossessione di un nemico dai mille volti, mina alla base qualsiasi possibilità di ricostruirlo.
L’America di Biden ha guardato in faccia al mostro. Noi abbiamo disimparato da tempo a riconoscerne l’esistenza.
Per farlo sarà necessaria una vera propria rivoluzione culturale. Una stanza insonorizzata e una finestra aperta. La prima per non essere turbati da ideologie decotte o, peggio ancora dalla crisi d’astinenza che ci ha colpiti con dall’uscita rovinosa dal “trip” del 1989.
Non sarà facile. Per l’intanto, cerchiamo di guardarci da due tentazioni. La prima è quella di cavalcare la vittoria, interpretandola a nostro uso e consumo fino a travisarne il significato.
La seconda, e forse la più grave è quella di sminuirne il significato: dicendo che Biden è mediocre o che Trump ha dietro di sé il popolo che va rispettato.
E qui mi limito a ricordare che sono gli eventi e i processi che rendono grandi le persone che vi partecipano. E, per altro verso, che il popolo ha garantito consensi notevoli anche a Hitler, Orban. Erdogan, Kaczinski, Johnson. Senza che questo nobilitasse i sullodati personaggi…
E qui mi fermo. Brevi cenni va bene. Ma senza esagerare.