DI CRISTINA PEROZZI
Deferito all’Ordine dei Giornalisti chi sul Sole24Ore ha fatto questa inammissibile descrizione di Alberto Maria Genovese, imprenditore arrestato mentre stava in partenza per altri lidi perché accusato di aver sequestrato, drogato e violentato ragazzine di 18 anni ed anche meno.
Con una guardia personale fuori dalla porta a vigilare la sua privacy mentre avrebbe usato cosi tanta disumana violenza.
“Un vulcano di idee che non si è fermato un attimo e che, per il momento, è stato spento.”
Tra poco ricorre la giornata internazionale sulla violenza contro le donne e noi in Italia, dove ogni due giorni e mezzo muore una donna per mano di chi dovrebbe amarla, la celebriamo così.
Inneggiando a un soggetto che invece di essere definito “responsabile di gravi crimini violenti” è descritto come un irrefrenabile e capace imprenditore.
E le scuse editoriali non servono, perché il messaggio è già transitato.
La personalizzazione della notizia sul colpevole relega in secondo piano la vittima, sulla quale si dovrebbe invece richiamare una seria riflessione collettiva.
Ancora una volta assistiamo ad una versione informativa che tende a impietosire chi legge, a provocare quasi una comprensione umana rispetto a condotte che dovrebbero essere lapidariamente stigmatizzate e che, con parole come quelle usate nell’articolo giornalistico, inducono persino a giustificare comportamenti aberranti.
Perché all’attenzione balza la notizia che questo famoso e operoso uomo d’affari è stato fermato nella sua scalata imprenditoriale.
Come si trattasse di un incidente di percorso, insomma.
E della ragazza abusata e ridotta ad un oggetto sessuale da usare a piacimento, a costo di renderla completamente incapace di opporre resistenza, neppure una parola.
Della aberrazione di una violenza cosi efferata da sfuggire all’immaginazione umana nulla.
Di questo non si ritiene di dover scrivere , lasciando che il lettore si concentri esclusivamente sui futuri problemi economici del ” povero” imprenditore fermato dalle forze dell’ordine.
Il resto può passare in secondo piano, come si trattasse di un’ennesima puntata fra le peggiori fiction televisive.
Omettere di considerare come si deve un fatto di violenza significa aggiungere ulteriore sofferenza alle donne che l’hanno subito.
Implica una visione ulteriormente prevaricatrice dei diritti femminili.
Equivale ad arrecare ancora violenza perché lascia sottintendere che in fin dei conti chi l’ha vissuta, se l’è in qualche modo cercata.
Perché la violenza inizia dalle parole.