DI ANTONELLA PAVASILI
La signora Anna era una vecchina deliziosa, dolce e sorridente.
Abitava col marito, don Bastiano, in un appartamento sullo stesso pianerottolo di casa dei miei.
Le finestre della cucina degli appartamenti erano dirimpetto e loro erano le prime persone che salutavamo al mattino.
Anche il mattino del 24 novembre 1980 la vedemmo sfaccendare in cucina.
La tragedia era già avvenuta, ma lei ancora non sapeva niente.
La signora Anna aveva tanti figli, non ricordo esattamente quanti, tutti all’estero, qualcuno addirittura in Australia.
Uno solo viveva in Italia, a Sant’Angelo dei Lombardi, in Irpinia.
Insegnava quel figlio suo, l’unico ad aver studiato perché quasi del tutto cieco.
Viveva lì con la moglie, originaria di quel paese, ed un unico figlio, anche lui quasi del tutto cieco.
Quel mattino la signora Anna non sapeva ancora niente del terremoto che si era mangiato il paese dove viveva il figlio.
Lo seppe nel pomeriggio, quando un nipote gli portò la notizia.
Lei rimase composta, ma si incurvò su se stessa, il volto trasfigurato dal dolore.
Di quel figlio suo, della nuora e del nipotino non si avevano notizie.
Passarono giorni di un dolore condiviso con mia mamma e con tutte le vicine che la confortavano dandole speranza ed aiutandola a nascondere il dolore a don Bastiano, troppo anziano e troppo malato per poter sopportare quello strazio.
Un mattino presto giunse il nipote.
Udimmo un urlo.
Non era di dolore, ma di gioia.
Erano vivi, tutti vivi.
Avevano perso tutto, ma erano vivi.
La signora Anna si raddrizzò, ridivenne alta ed energica e dispose subito gli aiuti.
Passarono mesi e quel figlio venne a trovarla, col nipotino.
La moglie era rimasta a Sant’Angelo perché era volontaria per aiutare i tantissimi sfollati.
Me li ricordo il figlio della signora Anna e suo nipote, quando arrivarono.
Avevano la morte, il dolore, l’orrore, la disperazione negli occhi quasi ciechi.
Ma erano vivi.
Anzi, erano sopravvissuti.
A differenza di altre 2900 persone che invece morirono.
La signora Anna li abbracciava e li baciava, ma loro non riuscivano a sorridere.
Avevano nel cuore la gioia cupa dei sopravvissuti.
Quella gioia incredula piena di perché che avrebbe modificato per sempre la loro anima, i loro gesti, il loro cuore.
Li rividi ancora un paio di volte, finché don Bastiano non morì e la signora Anna si trasferì dal nipote.
E ogni volta che li vedevo, vedevo quella gioia cupa, quel dolore nascosto.
Quella domanda sospesa.
Perché noi siamo sopravvissuti?
Quarant’anni fa, il terremoto in Irpinia.
Migliaia di morti, migliaia di feriti, centinaia di migliaia di sfollati.
E i sopravvissuti, come il figlio e il nipote della signora Anna.
Che forse continuano a chiedersi perché…
A loro va il mio pensiero.
Agli altri, le mie preghiere…