DI CLAUDIA SABA
Le donne uccise dal 2000 ad oggi sono oltre 3.500.
Un omicidio su due è avvenuto in famiglia.
Le donne che hanno subito violenza negli ultimi 5 anni sono 538.000.
1.546, le ragazze minorenni stuprate.
Ogni 15 minuti una donna è vittima di violenza.
Numeri, fredde statistiche che indicano il dilagare del fenomeno nonostante le tante battaglie fatte sul campo.
Eppure oggi, come ogni anno, si continua a “fare slogan” intorno alla giornata internazionale contro la violenza sulla donna.
Manifesti, scarpette e panchine rosse.
Frasi di circostanza.
Che raccontano le storie vere, di Anna, Lucia, Federica, Luisa.
Claudia o Miriam.
Nomi casuali di donne uccise ieri, oggi e che domani continueranno ad essere ammazzate.
Leggeremo di loro sui giornali e poi aspetteremo la condanna.
Ergastolo? No.
30 anni? Forse…
Che diventeranno 20
e poi 10.
Perché in fondo “la vittima che se l’è sempre andata a cercare”.
Oggi sono tantissime le manifestazioni contro la violenza sulla donna.
Ma domani? Sarà un nuovo giorno?
Non lo sarà mai fino a quando non impareremo a costruire storie diverse.
A scuola, in famiglia.
Con i nostri ragazzi.
Spiegando loro il significato della parola “violenza”.
Fisica ma anche psicologica.
Ripetendo a noi stesse, che in un modo o nell’altro, tutte l’abbiamo ricevuta.
Da quando siamo venute al mondo e qualcuno avrebbe desiderato
un maschio al nostro posto.
O quando, in un concorso, qualcuno ci ha detto: “Tranquilla, ci penso io a te”.
Perché per molti uomini noi siamo “cose”, oggetti da possedere.
Pensiamoci.
Riflettiamo.
Diventiamo donne fino in fondo, artefici del nostro futuro senza più pregiudizio.
Noi donne unite, insieme.
Lo possiamo fare.
Aboliamo il 25 novembre
Iniziando da noi.