DI MARIO PIAZZA
In Danimarca ho passato solo qualche giorno, giusto il tempo di annegarmi nell’ottima birra, di visitare sommariamente Copenhagen e di farmi un bel cannone alla luce del sole a Christiania e poi via di nuovo, in motocicletta, verso la Norvegia.
Ne conservo un bel ricordo, per questo vedere la normalità con cui la premier danese Mette Frederiksen parla dell’abbattimento di 17 milioni di visoni, solo un terzo degli animali da pelliccia che languono nelle loro gabbiette in attesa di essere scuoiati, mi provoca una contrazione dello stomaco molto simile a quella del vomito.
A metterli in fila così tanti visoni partirebbero da Roma e arriverebbero fino a Los Angeles, muso contro coda. Peserebbero come 20.000 mucche, ma quelle 17.000 tonnellate di carne finiscono nell’inceneritore con la loro vitalità, i loro istinti, la loro bellezza. Di essi rimane solo la pelle, non per fornire calore a chi muore di freddo (per quello esistono 100 fibre sintetiche più efficienti) ma per consentire a un numero ristrettissimo di persone di esibire in pubblico la propria ricchezza.
Io penso che alla barbarie verso gli animali debba esserci un limite e sopporto malissimo che venga violato per ragioni alimentari di cui sono ignobilmente complice, ma che ciò avvenga per la mera vanità dei più ricchi mi fa collocare gli allevatori di animali da pelliccia sul gradino più basso della specie umana insieme ai paesi che li ospitano.
Tra essi anche il nostro, sono poco meno di centomila i visoni italiani che preferirebbero fare la fine di quelli danesi piuttosto che trascorrere il resto della vita in una scatola di fil di ferro.