DI VIRGINIA MURRU
Per un Paese indebitato come l’Italia (debito pubblico al 160% del Pil) lo spread, che ormai da oltre sei mesi viaggia quasi in prima classe, potrebbe sembrare davvero una manna, ma dietro le quinte ci sono strategie finanziarie ben precise. Il differenziale di rendimento è ai minimi, inferiore a quello registrato nel primo trimestre del 2018, e vicino a quello del primo trimestre 2015, quando l’economia italiana presentava dati macro ben più incoraggianti di quelli di oggi.
I tempi sono quelli che sono, non certo di ‘vacche grasse’, dato che il virus ha preso non solo d’assalto gli esseri umani di un intero pianeta, ma ha devastato anche le loro risorse economiche.
Nonostante questi dati di fatto inconfutabili, esiste una linea verde positiva nell’andamento dell’economia italiana, che sostiene il debito e non contribuisce al suo incremento con fiumi di interessi negativi. Il richiamo è appunto ai titoli di Stato, che la Bce acquista sistematicamente e con percentuali maggiori rispetto al 2019.
Si tratta di strategie finanziarie ‘anti-covid’, di una linea d’interventi programmati e flessibili della Banca Centrale Europea, volta a sostenere la forte crisi in cui versano i Paesi dell’area euro. L’acquisto di asset per un valore di ben 30 miliardi in più (circa 180 mld in un anno sarà la quota di debito pubblico acquistata) a beneficio dell’Italia, va oltre la norma che vigeva nel periodo antecedente la pandemia; in portafoglio detiene pertanto più Btp rispetto ad un anno fa.
In un periodo di forti esigenze di risorse per il finanziamento di tutti i programmi di sostegno all’economia, in attesa che arrivino quelle promesse dall’Ue con il Next Generation, la Bce e i suoi ‘input’ di liquidità hanno fatto davvero la differenza.
Senza questo supporto sarebbe stata una crisi molto più devastante di quella in atto. In definitiva la Bce coprirà con il valore di questi acquisti, l’intero deficit prodotto nel corso del 2020.
Ed è un supporto che continuerà fino alla metà del prossimo anno, ma la Banca Centrale ha stabilito programmi flessibili, in base all’andamento dell’economia in Eurozona, e certo non mancheranno gli stimoli, anche in seguito, qualora si rendesse necessario.
Christine Lagarde ha infatti dichiarato nell’ultimo meeting che a fine anno saranno ricalibrati gli strumenti d’intervento per quel che riguarda la politica monetaria.
La crisi c’è e imperversa, è anzi palpabile, ma ci sono anche argini con validi rinforzi, trattandosi poi di pandemia e flessione per l’economia globale, l’Italia non è sola sul fronte della lotta. E’ sempre valido anche per la presidente Lagarde l’assioma di Mario Draghi: ‘what ever it takes’.
Draghi lo affermava in riferimento al target sul tasso d’inflazione, ma lo spirito d’azione va sempre nella direzione del sostegno ai 19 Paesi che l’Eurotower rappresenta.
Ovviamente la Bce acquistava titoli obbligazionari anche prima che esplodesse la crisi economica legata alla pandemia, tramite un Piano di Quantitative Easing che ebbe il suo start nel 2014. Si tratta dell’APP, acronimo di Asset Purchase Programme; ben tre dei quattro programmi in cui si applica sono rivolti all’acquisto di obbligazioni nel settore privato, la quarta invece riguarda quello pubblico, con relativo acquisto di obbligazioni (ed è il PSPP, ossia Public Sector Purchase Programme).
E’ questa terapia intensiva, tramite ‘infusioni’ continue di liquidità e foraggiamento di risorse ad avere tenuto buoni i mercati, che altrimenti sarebbero diventati dei molossi ringhio si, man mano che l’assalto del virus portava dissesto alle imprese e alle famiglie.
In un’intervista concessa al quotidiano Repubblica, il capo economista di Intesa Sanpaolo, Gregorio De Felice, afferma che ci sarebbero concrete possibilità che entro fine anno il differenziale possa arrivare a quota 100. Sostiene al riguardo:
“Non vedo incognite all’orizzonte di natura politica, o particolari turbative sul versante dei titoli di Stato. Inoltre, tra la Banca Centrale Europea e Bankitalia, circa un quarto del debito pubblico italiano, ossia 529 mld, si trova nei loro forzieri, e non per un breve periodo. La quota è anzi destinata ad aumentare, il che significa che esiste una solida rete di protezione sul debito italiano, e non solo italiano.”
Insomma sarebbe un’ottima soluzione, al fine di neutralizzare le oscillazioni. Non solo. Secondo l’opinione dell’economista, c’è da considerare il fatto che ‘al netto della componente detenuta dalle Banche Centrali, il rapporto tra debito e Pil calerebbe dal 158% (160%) a circa 118%, un bel salto in termini di incisività nei confronti del Pil.