DI CLAUDIA SABA
Martina Rossi, 20 anni.
Morì durante una vacanza a Palma di Maiorca.
Precipitata da un balcone dell’Hotel Santa Ana mentre tentava di sfuggire a un tentativo di stupro.
La Corte d’Appello di Firenze dichiarò, lo scorso anno, estinto il reato di “morte come conseguenza di altro reato”.
A processo per la sua morte Luca Vanneschi e Alessandro Albertoni.
In primo grado, ad Arezzo, i giudici condannarono i due imputati riconoscendo che la morte di Martina non poteva attribuirsi ad un suicidio.
La giovane era scivolata dal balcone perché terrorizzata.
Da qui la condanna a sei anni di carcere, tre per la morte in conseguenza di un altro reato e tre per tentata violenza sessuale di gruppo.
La difesa si oppose.
E le accuse nei confronti dei due giovani, ‘morte in conseguenza di altro reato’ e ‘violenza sessuale’ sono andate, la prima, prescritta dal 2019, la seconda, in via di prescrizione.
Tutto questo non è accettabile.
Non solo per i genitori Bruno Rossi e Franca Murialdo, ma per tutti noi.
La legge non può essere soltanto un freddo manuale da sfogliare alla ricerca di quel cavillo che salva sempre il colpevole condannando la vittima.
Per la morte di Martina Rossi, una giovane di venti anni, presumibilmente vittima di criminali, non pagherà nessuno.
E questa, è una sconfitta per tutti.