DI FILIPPO ROSSI
“Ragazzi, godetevi la vita, innamoratevi, siate felici ma diventate partigiani di questa nuova Resistenza, la Resistenza dei valori, la Resistenza degli ideali. Non abbiate mai paura di pensare, di denunciare e di agire da uomini liberi e consapevoli. State attenti, siate vigili, siate sentinelle di voi stessi! L’avvenire è nelle vostre mani. Ricordatelo sempre!”.
Il 6 dicembre 2002 moriva a Firenze, all’età di 82 anni, Antonino Caponnetto, magistrato a capo del pool antimafia dopo l’assassinio di Rocco Chinnici, dal 1983 al 1990. Con sé nel pool volle Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Gioacchino Natoli, Giuseppe Di Lello e Leonardo Guarnotta. Il lavoro del pool antimafia portò all’arresto di oltre 400 mafiosi appartenenti a Cosa Nostra e, soprattutto, allo storico maxi processo celebratosi a Palermo nel 1986.
Antonino Caponnetto fu uno dei tanti silenziosi eroi moderni, un vero servitore dello Stato. Anche dopo aver lasciato la magistratura, nel 1990, e nonostante la malattia che lo aveva colpito, il suo impegno civile in nome della legalità e della dignità umana non venne mai meno. Un uomo mite, gentile, buono, generoso, che pianse e si abbandonò ad un umano sentimento di sconcerto con quella frase “è tutto finito”, pronunciata uscendo dall’obitorio dove giaceva il corpo straziato di Paolo Borsellino.
Ma che il suo impegno civile non fosse finito Antonino Caponnetto lo sapeva bene. Fino alla fine dei suoi giorni ha organizzato incontri con i giovani nelle scuole, perché, diceva “la mafia teme la scuola più della giustizia, l’istruzione toglie erba sotto i piedi della cultura mafiosa”. Si spendeva affinché i ragazzi venissero educati alla legalità, al senso del dovere, alla responsabilità, al coraggio.
Ad Antonino Caponnetto, un grande italiano, andrebbero intitolate vie, piazze, palazzi, scuole. Perché ricordarne l’esempio, oggi e sempre, è un dovere.