E’ ITALIANA LA PRIMA DONNA LAUREATA NEL MONDO (1678)

DI VIRGINIA MURRU

 

Il giorno in cui Elena Cornaro conseguì il dottorato in Filosofia, era la fine di giugno del 1678, l’evento suscitò così tanto scalpore, da fare accorrere una folla di curiosi all’Ateneo di Padova, nel quale si assistette alla ‘discussione’ d’importanti temi filosofici. La giovane nobile veneziana, impressionò fortemente con la sua erudizione i professori incaricati di valutarne la preparazione. Essi  non avevano intenzione d’essere magnanimi verso l’’inaudito’ coraggio che lei aveva manifestato, presentandosi, prima al mondo, in un Ateneo così prestigioso per l’epoca, con la pretesa di conseguire un dottorato in Discipline Umane, le quali erano state, fino ad allora, esclusivo retaggio del mondo maschile.

Elena proveniva da una Casata nobile, il padre aveva  sempre manifestato interesse verso la Cultura, il  culto per la Scienza e le lettere erano noti a tutti. C’erano anche ascendenze, nel ramo genealogico, che vantavano stretti rapporti con Galileo, una solida amicizia con un avo di Elena che aveva lasciato segni tangibili nella ricchissima biblioteca di famiglia, nella quale si trovavano tutte le opere dello scienziato, così a lungo perseguito dalle autorità ecclesiastiche, perché accusato di eresia. Quegli scaffali così pieni di tomi prestigiosi, rappresentarono una leva culturale ineludibile e accattivante, per Elena Cornaro, che  si sentiva letteralmente calamitata all’interno di quelle stanze austere. La lettura divenne così il suo oppio naturale, impossibile evadere con interessi più affini alla sua giovane età. Il padre intuì che le sue inclinazioni verso gli studi e la ricerca erano seri, e ne incoraggiò il corso, contribuendo ad esaltarne le doti, attraverso l’aiuto di maestri piuttosto noti all’epoca, che la seguirono, esaltando, con la loro sapienza, le attitudini e la naturale propensione verso le discipline scientifiche, artistiche e letterarie, musicali.

I talenti di Elena erano tanti, e questo suo ecclettismo intellettivo la proiettò verso i numerosi orizzonti del sapere e della conoscenza. Eccelleva nell’apprendimento delle lingue, appena ventenne conosceva perfettamente il latino, il greco, il francese, l’inglese.. Perfino l’ebraico. Aveva mente aperta, intelligenza fervida e acuta, non sarebbe stato possibile raggiungere risultati così brillanti con prerogative mediocri: c’era una solida base di umori mentali, e riempire quei fertili solchi di sapere era semplice come attingere da una dispensa ben fornita.

La cerimonia della sospirata laurea ( il titolo era comunque più ambito dal padre che da lei), si svolse con i rituali riservati ai colleghi maschi. Le consegnarono i simboli tipici di chi raggiunge il più alto grado della sua formazione nel campo degli studi, ossia un libro, un anello, che rappresenta il legame ‘indissolubile’ col sapere, una corona d’alloro, antico simbolo mitologico di Apollo, che evoca gloria e sapienza. Infine un manto di ermellino, che rimanda alla dignità dottorale.

La dottoressa Elena Lucrezia Cornaro Piscopia era nata a Venezia il 5 giugno 1646,  quinta figlia di una famiglia agiata, il padre, Giovanni Battista, era un rappresentante di spicco della Repubblica di Venezia: procuratore di S. Marco.  Non gli sfuggì l’interesse sempre più vivo della piccola Elena verso gli studi, quell’animazione  e fervore che venivano direttamente dalle più riposte sorgenti intellettive di cui era dotata. Se ne interessò personalmente, e in privato ne curò la formazione reclutando nel suo palazzo i maestri più noti della Repubblica. Le furono impartite lezioni su ogni disciplina che riguardasse lo scibile umano, dalle lettere classiche alle scienze matematiche, astronomia, Filosofia, Teologia musica, arte..

La sua mente aveva potenzialità mnemoniche straordinarie, imparò l’arte della retorica, adottando un eloquio forbito che stupiva l’interlocutore. Le capacità espressive furono un mezzo importante, che le consentì di presentarsi all’esame di laurea con tutte le carte in regola davanti ai professori che la scrutavano con aria critica, ancora increduli, dato che le convinzioni dell’epoca volevano la donna intenta ad attendere alle incombenze domestiche, al massimo all’arte del ricamo o alla musica, non si andava oltre.

Ogni aspirazione era stata interdetta dalle precise quanto reazionarie imposizioni del clero, che riteneva la donna inferiore all’uomo, incapace di comprendere e ragionare su argomenti complessi, e pertanto veniva sistematicamente relegata tra le pareti domestiche o nei conventi; ogni ambizione di carattere culturale era preclusa.

Quando la giovane Elena, poco più che ventenne, inoltrò istanza all’Ateneo di Padova, per sostenere l’esame di laurea in Teologia, nonostante la nobile estrazione sociale  di provenienza, e tante porte quasi aperte su pressione del padre, che l’aveva sempre sostenuta nel suo percorso formativo, si trovò davanti un muro d’intransigenza. Niente da fare: era una donna, che se ne stesse a casa! Qualche secolo più avanti, nei primi decenni del novecento, sarebbe stato poi Pio X a chiarire che cosa la donna rappresentasse davanti alla Chiesa. Famoso è rimasto un suo detto, in proposito: “Par èssar giusta, ‘na dona bisogna che la piasa, che la tasa e che la staga in casa..” – Si espresse in dialetto veneto, perché era originario di Treviso, ma non c’è bisogno di traduzione, è stato piuttosto eloquente.

Elena dovette vedersela col cardinale Gregorio Barbarigo all’epoca, il quale, neanche a dirlo, era Cancelliere dell’Università di Padova, e sulle aspirazioni della studentessa che intendeva precorrere i tempi,  ‘saltando’ qualche secolo con tanta disinvoltura e intraprendenza, calò un gelido sipario. Il cardinale era irremovibile, e non intendeva lasciarsi commuovere da una donna che, peraltro, aveva fatto voto di castità all’età di 11 anni, scegliendo una decina d’anni più tardi, di consacrarsi all’ordine dei benedettini. Non fu un lasciapassare sul quale indulgere, per il cardinale ostinato e deciso a mettere anche le montagne davanti alla sua strada. La laurea in Teologia era proprio da dimenticare.

Allora si ‘ripiegò’ – si fa per dire, dato che era preparatissima anche qui – con la Filosofia. Il Consiglio di Ateneo diede il benestare, e così, complice la passione per il sapere, Elena Lucrezia Cornaro, riuscì a passare oltre le barricate dei tempi, ostili verso quello che invece, Giovanni Paolo II, definì ‘il Genio femminile’. Elena entrò nella storia, con un primato che nessuna donna al mondo aveva fino ad allora conseguito, e le fu riconosciuto il titolo di “magistra et doctrix in philosophia”.

Certo, trovò una strada piena di chiodi, affrontò lotte in trincea per farsi largo davanti ad una società clericale (ma anche laica..) misogina, ma alla fine la sua ostinazione ebbe la meglio. Ci volle un altro secolo, per sentire ancora parlare di donne con la passione degli studi, che avevano chiesto di presentarsi ad un Ateneo per conseguire il dottorato nella disciplina in cui si erano preparate.

Furono tre, e sempre di nazionalità italiana, una di Pavia (laurea in Giurisprudenza), e le altre due di Bologna ( una si laureò in Medicina e l’altra in Fisica), entrambe le città sedi d’importanti Università. Altre  donne con la medesima ambizione di Elena, si presentarono all’Università di Padova (allora Studio di Padova), ma il Collegio  si oppose strenuamente, e non accettò ulteriori candidate al titolo accademico. Le pressioni del clero erano decisive, non si voleva progresso né emancipazione, e soprattutto si negava alla donna un diritto inviolabile, già concessole da Dio per nascita, avendola dotata delle medesime qualità intellettive dell’uomo.

Ma anche qui era arduo capire che non era ‘la Terra a girare intorno al Sole’, ma il contrario.. Non si usava la ragione quale logica di valutazione sensata della realtà, ma il dogma, che era il tramite tra cielo e terra, la metrica di misura di un Dio vagheggiato, ma  interpretato in modo contrario al buonsenso.

Le donne che si laurearono sul finire del XIX secolo furono anche più sfortunate delle prime; il pregiudizio di una società ancora misogina tendeva a discriminarle, soprattutto nell’ambito dell’attività lavorativa. Lidia Poet si laureò in Giurisprudenza nel 1881, alcuni anni dopo inoltrò richiesta per l’iscrizione all’Albo degli avvocati, ma le fu respinta. La questione finì tra gli orpelli giudiziari, e infine la Corte d’Appello si pronunciò ancora contro il diritto della Poet all’iscrizione all’Albo. Si era alle soglie del novecento..

Dopo avere conseguito la laurea, che tanta curiosità aveva destato ovunque (pare che all’esame di laurea fosse presente anche un messo di Luigi XIV), Elena Lucrezia Cornaro fu invitata da numerose Accademie in Europa, fece anche parte della Commissione d’esame allo stesso Ateneo di Padova, dove poi si trasferì definitivamente. Lei era nata e residente a Venezia, nel palazzo Cornaro (attualmente conosciuto come ‘Ca’ Loredan’, ed è sede del Municipio. La Casata era una delle più importanti della Repubblica di Venezia, alla quale diede ben 4 Dogi, e 9 cardinali alla Chiesa.

L’eccezionale risultato nell’adempimento dell’intenso e rigoroso percorso di studi, e poi il conseguimento del titolo universitario, era frutto di una combinazione di tanti elementi che andarono in favore di Elena. C’era in primo piano la sua inclinazione e attitudine agli studi, ma anche il privilegio della casta, dati i nobili natali, e tutto ciò che  questa condizione sociale aveva favorito, in termini di supporto e aiuto nel rendere concreto il sogno di quella eccezionale aspirazione. A  questo si aggiunse  il sostegno di alcuni precettori religiosi che venivano dal mondo della Cultura, e svolgevano importanti ruoli nella società del tempo.

Fu una sincronia di venti in favore, il tutto in definitiva, aveva concorso al raggiungimento di quel traguardo così ambito dalla giovane donna, che poi era stata comunque un’autentica sfida alle interdizioni del tempo, ad un sentire nel quale non c’era spazio per un salto così anacronistico, fuori da ogni concezione civile in una società che aveva un assetto puramente maschilista. Una società costruita a misura d’uomo, non di donna, eppure, sul versante delle potenzialità, erano le medesime misure.