DI MARIO PIAZZA
RETORICA /re·tò·ri·ca/ sostantivo femminile
Atteggiamento dello scrivere o del parlare, o anche dell’agire, improntato a una vana e artificiosa ricerca dell’effetto con manifestazioni di ostentata adesione ai più banali luoghi comuni.
Non se ne può più. Se dai giornali e da ogni altra forma di comunicazione scomparisse la retorica ciò che rimarrebbe potrebbe essere scritto sulla carta stagnola di un pacchetto di sigarette. Hanno rubato l’orologio di Paolo Rossi, Corrado Augias restituisce la Legion d’Onore, Zaki scrive una lettera a casa, centri vaccinali a forma di primula, natale in carcere per i pescatori siciliani, Spelacchio si accende di luci e il Papa si veste da prete…
Quante emozioni. Sdegno, ammirazione, preoccupazione, ottimismo, dispiacere, sorpresa. Quasi che nel frattempo altri mille appartamenti non siano stati svaligiati, o che a Macron e Al Sisi importi qualcosa della decorazione di Augias, o che il gazebo a forma di fiorellino possa cancellare i morti o che i pescatori di Mazara non abbiano già trascorso quasi quattro mesi in Libia dimenticati da tutti.
Quando il consenso deriva dalle emozioni che si riescono a smuovere e non dai risultati che si sono ottenuti si ha la prova inconfutabile dell’incapacità a cui ci siamo ormai tutti abituati.
Fallire è diventato la normalità e ottenere risultati è l’eccezione, l’astratto vince sul concreto, le chiacchiere sui fatti, i gesti sulle azioni. Tutto va ben madama la marchesa, ma in fondo anche questa è retorica, la retorica dell’antiretorica.
Povero Aristotele.