DI VIRGINIA MURRU
Da Bruxelles arriva qualche cauta scintilla di ottimismo, ma senza andare oltre, ché non sono tempi, quando si ha di fronte un interlocutore che ogni tanto brandisce la ‘spada’ del no deal, quasi fosse un’arma senza doppio taglio. Cosa che, anche vista da lontano, una simile prospettiva, non è.
Eppure la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, nelle sue dichiarazioni lascia trasparire un vago sentore di positività, come se, la ‘sostanza informe’ dei nodi chiusi nella trattativa, avesse attivato un processo di apertura verso la soluzione del dilemma Brexit.
Per il momento si tratta di ‘rumors’, ma vengono da una fonte attendibilissima, qual è appunto la presidente della Commissione, e si può sperare nella fine di questo incubo. Le ultime dichiarazioni in merito sono eloquenti:
“I nostri team sono al lavoro per cercare di raggiungere un accordo con l’UK, lavorano giorno e notte, a volte contro ogni prospettiva di riuscire, ed io voglio per questo ringraziare tutti coloro che stanno cooperando a questo fine, in particolare vorrei ringraziare il capo delegazione dei negoziati Ue, Michel Barnier, per la sua perseveranza e dedizione.” E aggiunge:
“Mentre i negoziati proseguono, non sono al momento in grado di affermare se l’accordo si raggiungerà oppure no, se esista una via percorribile al riguardo. Al momento lo spazio è piuttosto ristretto, ma anche con questi limiti abbiamo il dovere di proseguire nella trattativa, e seguire ogni tentativo.
La buona notizia tuttavia è che si è trovato qualche spiraglio in più per avvicinarsi all’accordo, su diversi nodi ancora da sciogliere, ma ciò significa che allo stato attuale potremmo considerarci più vicini alla conclusione dei negoziati, o di contro, potremmo essere più lontani di prima. Sono rimasti due scogli da superare, e in questa direzione è necessario trovare un punto d’incontro. Soprattutto sulla ‘parità di condizioni’ (level playing field) e la pesca. “
Secondo Von der Leyen l’obiettivo è semplice, per quel che attiene alla parità di condizioni, ossia assicurare una corretta linea di competitività e concorrenza sui mercati dell’Unione. Per assicurare questa garanzia, è necessario stabilire ‘robusti meccanismi’, con processi chiari. La struttura alla quale l’Ue sta lavorando ‘si basa su due pilastri: gli aiuti di Stato e gli standards’. Si sono raggiunti progressi sul tema ‘aiuti di Stato’, basati su principi comuni, garanzie e supporti interni, con la possibilità di risanare le difficoltà in modo autonomo, laddove è richiesto un intervento.
Sugli ‘standards’ si è concordato su un forte meccanismo di ‘non-regressione’: si tratta di un grande passo avanti, secondo la presidente. Difficoltà ancora persistono nel convergere in un punto d’intesa comune, affinché gli interessi delle due parti non siano violati.
Uno dei temi più discussi nel corso dei negoziati, la governance, è stato in gran parte superato con un’intesa più solida.
Per quel che riguarda la pesca, per l’Ue non è in discussione la sovranità sulle proprie acque del RU, si chiede semmai più stabilità per i nostri pescatori, e prevedibilità su quello che sarà il futuro assetto in questo ambito.
Onestamente sembra che questi punti di mancata convergenza impediscano di proseguire e sperare in una svolta, ma si sta continuando a lavorare per superarli. Certo i tempi e le scadenze ormai prossime non aiutano a lavorare serenamente, e tuttavia sono variabili delle quali bisogna tenere conto.
Così come si deve tenere conto dei tempi canonici, dato che ogni scelta dovrà essere sottoposta all’approvazione del parlamento e alla prassi democratica. I prossimi giorni, secondo Ursula von der Leyen, saranno decisivi per l’intesa.
Nei negoziati sulla Brexit si è rivelata in modo chiaro l’attitudine del premier Johnson alla risolutezza, emerge tutto il suo temperamento impulsivo e vocato al taglio netto delle questioni. La capacità di trattare non è il suo fiore all’occhiello, così come non lo è la capacità di tendere la mano in un campo neutro, dove a volte è necessario cedere qualche metro di terra, per evitare guai maggiori.
Il premier inglese non ha neppure l’inclinazione al rispetto delle regole, e se si tratta di violare i trattati internazionali, pazienza. Molta similitudine con la personalità irruente di Trump, tante affinità sul modo di procedere in politica. Il capo negoziatore Ue, Michel Barnier, ha imparato col tempo a dominarne gli impulsi, a tenere le briglie e a stringere anche il morso, quando la circostanza ricorre.
Ma senza impressionare Johnson, il quale, com’è noto, la scorsa settimana ha schierato navi da guerra nelle sue acque territoriali, più eloquenti di qualsiasi sua risposta alle proposte Ue sulla pesca. Certo con l’intento d’intimorire, di piegare l’intransigenza dei negoziatori dell’Unione. Volevo solo significare che non intende lasciare spazio ai pescatori dell’Ue, quando la Gran Bretagna diventerà ‘Paese terzo’.
Un azzardo anche questo, ovviamente, criticato anche in patria, dato che di strigliate ne ha subite tante, e non solo dagli ex premier, indignati per la sua smania di andare avanti schiacciando con i suoi cingoli ogni spunto di critica. Contrarietà anche da tanti esponenti Tory, che lo invitano a non mettere in gioco la credibilità britannica, sorvolando sui trattati, specie quelli del Venerdì Santo, il cosiddetto back-stop sulle frontiere irlandesi con l’Ulster.
Qualcuno ricorre anche alle locuzioni latine, tipo: “Pacta sun servanda”, ma tant’è, non c’è tempo per gli scrupoli. Ed è anche bene che ricordi il sostegno che ha da parte dei Tory, il suo partito: dopo la sua rielezione aveva l’80% dei consensi, ora ne ha meno del 30%.
Poi, qualcuno lo induce a riflettere, finalmente, a guardare la linea del baratro, e così torna sui suoi passi, ligio e sorridente davanti ai negoziatori. Deve anche avere dedicato qualche spicciolo di tempo a riflettere sul fatto che il pescato delle acque territoriali britanniche è sì, abbondante, ricco di specie pregiate, ma gli inglesi non sono grandi consumatori di pesce, soprattutto crostacei, e pertanto fino ad ora i pescatori inglesi hanno riversato nei mercati dell’Unione gran parte della loro pesca.
C’è da dedicare più di un pensiero a questo dato di fatto, e trovare una linea d’incontro comune, dato che gli interessi sulle acque territoriali sono reciproci, e quindi occorre un dettaglio che si chiama rispetto.
Ricorre spesso nel corso dei negoziati, da parte dei rappresentanti britannici, un’intercalare: ‘vogliamo decidere in casa nostra’. Si direbbe smania di andarsene per i fatti propri, ossia rompere i ponti quanto prima con l’Ue, desiderio spasmodico d’indipendenza, quasi il Regno Unito fosse stato tenuto legato con cavi d’acciaio, sotto forti pressioni e costrizioni.
La verità è diversa, e forse tra qualche anno proprio questa nazione, la più antica democrazia del mondo, si renderà conto che vivere isolati in Europa, non è il massimo che ci si potesse aspettare. Non solo sul piano politico, ma anche sociale, economico, culturale. Certo Churchill batterebbe un forte pugno sul tavolo.
Eppure siamo ad un passo da questo azzardo, dietro Boris Johnson c’è almeno metà della sua nazione che non vede l’ora di saltare il fosso. E allora lasciamoli andare, senza rancore, ovviamente.
Ma intanto è necessario togliere i massi che intralciano questa strada, arrivare a qualche compromesso nella dura trattativa con l’Unione europea. ‘Take a step forward’ – per dirla come loro.