DI FABIO BALDASSARRI
Quando mandiamo gli auguri per le festività, di solito lo facciamo con una cartolina: il Babbo Natale con le renne, l’alberello con le palline di vetro luccicanti, un ramo di vischio col fiocco rosso o, i più devoti, la riproduzione di una natività (ce ne sono di molte e bellissime: dal quasi santo Giotto al maudit Caravaggio). Alcuni, infine, li fanno inviando la foto di un veglione di capodanno: il cappellino a cono, le stelle filanti e lo spumante. Sarò un originale, ma vorrei provare a farlo con “La danza” di Henry Matisse.
Questo grande pannello l’ho visto due volte in presenza: nel 1974 all’Hermitage di Leningrado (oggi tornata San Pietroburgo), e nel 2000 al Metropolitan Museum of Art di New York. Nelle foto che allego l’opera non può rendere completamente l’idea. Immaginatela, tuttavia, per la larghezza di 3 metri e novanta e l’altezza di 2 metri e sessanta, fissata in alto. Pensate a tutto quel prato, a quel cielo e all’estensione dell’abbraccio con cui i danzatori formano un cerchio in punta di piedi.
Anche se i colori non sono proprio identici, in entrambe i dipinti prevalgono la sobrietà degli sfondi e il movimento delle figure. Se visti in presenza, possono provocare un capogiro. A me è successo all’Hermitage. Al Metropolitan Museum Modern of Art, nel 2000, erano già accadute così tante cose che non potevo più provare analogo sbigottimento. Però, credetemi, fare gli auguri con questa danza potrebbe ancora andar bene: consente di guardare a un futuro diverso e, speriamo, migliore.