di Luciano Assin
corrispondente da Israele
Israele torna alle urne, è la quarta volta in poco più di due anni. L’attuale governo, nonostante potesse contare su una coalizione di ben 72 dei 120 seggi che compongono la Knesset, non ha mai funzionato in maniera regolare e armoniosa rivelandosi sin da subito formato da due anime che marciavano in direzioni opposte.
Da una parte il Likud di Netanyahu e i partiti ultra ortodossi, dall’altra la nuova formazione politica Blu e Bianco capitanata dall’ex capo di stato maggiore Benny Gantz sostenuto dai laboristi e altre piccole formazioni. Visto che nessuno dei due contendenti era in grado di formare una propria coalizione si giunse ad un accordo per formare un governo di “Emergenza nazionale” che avrebbe dovuto occuparsi principalmente dell’emergenza Covid. L’accordo prevedeva una rotazione fra i due leader politici per la quale dopo i primi 18 mesi di conduzione da parte di Netanyahu, Gantz avrebbe dovuto rilevarne l’incarico di premier.
Numerosi commentatori politici si dimostrarono scettici sin dall’inizio sulla possibilità che un simile accordo potesse funzionare vista la poca affidabilità di Bibi nel mantenere i patti. Gantz si è dimostrato fin da subito troppo ingenuo e poco lungimirante, lasciando al suo avversario moltissimo margine di manovra e non riuscendo mai a prendere l’iniziativa. La dimostrazione di quanto fosse fragile la coalizione e troppo differenti gli interessi politici è dimostrabile dal motivo che ne ha causato la caduta: la mancata approvazione del Bilancio sia per il 2020 che per il 2021. Secondo la legislazione israeliana infatti, in un caso del genere il governo cade automaticamente. Le prossime elezioni si terranno il 23 marzo 2021.
I primi sondaggi delineano ancora molta instabilità senza che nessuno dei contendenti sia in grado di formare un governo stabile. La novità principale consiste nel fatto che le maggiori minacce politiche nei confronti di Netanyahu provengano dalla parte destra dello schieramento politico. Il partito del leader di destra Naftali Bennet ed una nuova lista appena fondata da Ghidon Sa’ar, un fuoriuscito del Likud, saranno i principali antagonisti di Bibi. I tre mesi che separano Israele dalle elezioni sono un’eternità per la politica israeliana, e tutto è ancora aperto, ma le prime defezioni di ministri e deputati considerati fedelissimi di Netanyahu potrebbe darci una prima indicazione sui diversi fronti contro i quali il premier israeliano dovrà combattere per garantire non solo la sua sopravvivenza politica ma soprattutto per evitare una sua possibile condanna nei diversi procedimenti legali aperti nei suoi confronti.
Per Netanyahu la prossima tornata elettorale è una vera e propria corsa contro il tempo: la settimana prossima entrerà in vigore un terzo lockdown della durata di almeno 21 giorni, a febbraio riprenderanno i dibattimenti processuali al ritmo di tre sedute settimanali, l’economia è in crisi e la disoccupazione ha raggiunto livelli senza precedenti. Bibi può d’altro canto presentare dei successi non indifferenti: quattro accordi di pace con degli stati arabi: Emirati Arabi Uniti, Bahrein, Sudan e Marocco, e l’inizio della campagna di vaccinazione antiCovid cominciata proprio questa settimana e che dovrebbe terminare il suo primo stadio proprio verso la fine di marzo. La domanda cruciale è se gli effetti della vaccinazione saranno già così evidenti durante le elezioni in modo da favorirne la rielezione.
Quasi sicuramente i partiti arabi si ripresenteranno ancora una volta sotto un’unica lista nonostante le differenti anime che rappresentano, ma i sondaggi le attribuiscono quattro seggi in meno della tornata precedente, ancora non è chiaro chi ne usufruirà. Tracollo completo invece per i partiti del centro sinistra, sia Gantz che i laboristi non dovrebbero superare la soglia di sbarramento, ma ci sono diversi personaggi politici che aspettano di vedere quale sia l’umore dell’elettorato israeliano prima di decidere se candidarsi o no e scombussolare ancora di più gli attuali instabili equilibri.