BREXIT. DOPO 4 ANNI DI TORMENTATE TRATTATIVE, L’ACCORDO. COSA CAMBIA NEI RAPPORTI CON L’UK

DI VIRGINIA MURRU

 

L’uscita della Gran Bretagna dall’Unione europea è stato un tormentone lungo 4 anni, cominciato all’indomani del referendum che si è svolto il 23 giugno 2016. Tra alterne vicende – che non hanno reso semplice l’applicazione dell’art. 50 del Trattato di Lisbona – i pro Brexit hanno dovuto sottostare alle pressioni dell’altra metà del popolo britannico che non vuole allontanarsi dall’Ue.

Gli ultimi anni sono stati caratterizzati da tensioni e un clima infocato di contrapposizioni sia sul piano politico che sociale, dove gli scontri e la violenza non sono mancati. Il fatto è che il referendum ha sancito la vittoria dei Leave con pochissimi punti percentuali di scarto rispetto ai cosiddetti Remain, ossia coloro che erano (e sono) dichiaratamente contrari a lasciare l’Ue.

Poiché si tratta di una scelta importantissima sul piano internazionale, che cambia assetti ed equilibri con il resto dell’Europa sul piano degli scambi, occorreva un’espressione di voto popolare molto più consistente, che rappresentasse almeno i due terzi in termini di risultati referendari.

Invece la metà della popolazione, quella che si è strenuamente opposta alla Brexit, è stata ignorata. I sostenitori dell’uscita dall’Unione europea, soprattutto i rappresentanti politici dei Tory, si sono sempre trincerati sul ‘rispetto della volontà popolare’, e quindi della democrazia, dopo il 23 giungo 2016. Neppure ignorare la volontà dell’altra metà dei britannici, può ritenersi democrazia.

Ma tant’è.. hanno vinto quei 2-3 punti percentuali in più ottenuti al referendum, il resto non conta. La storia – per citare la famosa frase che pronunciò Hermann Goering a Norimberga – la scrivono i vincitori.

E così, dopo una lunga serie di fallimenti nelle trattative tra i negoziatori britannici e quelli dell’Ue, si è giunti in extremis, il 24 dicembre scorso, all’accordo, proprio la vigilia di Natale. E ora è ufficiale: la Brexit è già attiva dal primo gennaio 2021. In realtà, formalmente, l’UK non fa più parte dell’Ue già dal 31 gennaio 2020. Il periodo di transizione è stato previsto per raggiungere un accordo più completo su diversi punti importanti del negoziato, e dunque la nuova partnership tra Gran Bretagna e UE.

L’UK aveva già deciso comunque di non beneficiare degli accordi internazionali dell’Unione. Ancora non si può stabilire se l’esultanza di Boris Johnson aveva una ragione d’essere, dopo il raggiungimento del sospirato deal. Si farà un bilancio tra alcuni anni, solo allora si capirà se questo salto nel buio dei britannici è stata una scelta ponderata, o il desiderio di autonomia non ha condotto esattamente verso lo splendido isolamento che si auspicava.

Soprattutto sul piano economico, perché la prova del nove sarà proprio il nuovo equilibrio nell’economia della nazione. L’attuale premier, Johnson, è riuscito tuttavia laddove la precedente inquilina di Downing Street, ossia Theresa May, aveva fallito. Boris ha dimostrato certamente più intraprendenza e risolutezza: l’obiettivo era uscire a tutti i costi dall’Unione. Missione compiuta.

Certamente ci saranno una serie di cambiamenti, a cominciare dalle frontiere che riporterà l’Uk allo status di ‘Paese terzo’, nei confronti dell’Unione Europea. E su questo versante non ci saranno esultanze per i sudditi di Sua Maestà. Al momento l’accordo raggiunto il 24 dicembre deve ancora passare al vaglio del Consiglio Europeo, praticamente quasi una formalità, dato che il grande passo ormai è stato compiuto.

Nell’accordo sono previsti i nuovi regolamenti sugli scambi commerciali tra Regno Unito e Ue, i rapporti di sicurezza riguardanti i cittadini e la governance, che prevede l’istituzione di un Consiglio di partenariato misto, il quale svolgerà una funzione di controllo sulla corretta applicazione dell’accordo raggiunto, e soprattutto sulla sua obiettiva interpretazione sul piano giuridico.

Sono stati bypassati comunque i nodi più problematici, quelli che hanno reso l’intesa travagliata, praticamente per mesi un braccio di ferro del quale non si vedeva una fine. Il 17 dicembre 2019 il premier inglese e l’UE hanno trovato faticosamente l’accordo per un’uscita ‘ordinata’ dell’UK.

I cambiamenti nelle relazioni commerciali sono tanti, ma cambieranno tanti aspetti anche sul piano dei movimenti turistici, per scopi lavorativi e di studio. Nei servizi di libero scambio l’UK pagherà il tributo più alto alla Brexit.

L’Ue ha stabilito limiti e severi provvedimenti sulla concorrenza sleale da parte della Gran Bretagna, a tutela di imprese e consumatori nel territorio dell’Unione.

Preoccupazioni sulle conseguenze della Brexit ne hanno anche i 27 Paesi membri dell’Unione Europea. Intanto si cerca di prevenire disagi, e dunque governi e diplomatici sono già all’opera. Ci saranno provvedimenti di tutela sui contratti finanziari, giuridici e assicurativi, al fine di evitare sorprese. Fervono i preparativi per gestire la transazione e le dinamiche legate ai cambiamenti in atto.

In primis il Ministero dell’Economia prepara un programma di tutela sul piano economico, ma c’è fermento per ovvie ragioni anche alla Banca d’Italia, Consob e altri organi dello Stato che dovranno gestire questa fase delicata.

L’Agenzia delle entrate ha già istituito uno sportello di assistenza, chiamato ‘Info Brexit’, che fornirà spiegazioni ai cittadini interessati, i residenti per esempio: infobrexit@agenziaentrate.it.

Immancabili i cambiamenti per imprese, consumatori e lavoratori, ma anche per coloro che si recheranno nel RU per ragioni di turismo, niente sarà come prima.

Per quel che concerne lo scambio di beni, ci saranno nuove regole e dogane, che non riguarderanno l’Irlanda del Nord, o Ulster, per la quale resteranno in vigore le norme antecedenti alla Brexit. Una vittoria ottenuta dall’Ue nei negoziati, dopo tante battaglie. Per ovvie ragioni i negoziatori inglesi non volevano saperne di trattamenti diversi per una parte del loro territorio, ma gli accordi del Venerdì Santo (sulla frontiera con l’Irlanda), siglati nel 1998, non possono essere rettificati.

Dal primo gennaio 2021 sono entrate in vigore le nuove formalità doganali, e quindi a tutte le merci in transito dovranno essere applicate, sia in entrate che in uscita dal Regno Unito. Gli scambi, con la nuova procedura doganale, potrebbero subire ritardi, a causa dei controlli alle frontiere, ma anche oneri amministrativi a carico delle imprese.

Dal primo gennaio dell’anno in corso, per i cittadini della Gran Bretagna e quelli dell’Unione, che hanno conseguito una qualificazione, o un titolo di studio o specializzazione, non vigerà il regime di reciproco riconoscimento valido fino al 31 dicembre scorso. Il riconoscimento delle qualifiche professionali, come quelle relative a farmacisti, ingegneri, avvocati, architetti, medici e infermieri, avrà una disciplina diversa.

I cittadini del RU che si spostano nel territorio dell’Unione e l’area Schengen, saranno considerati alla stregua di cittadini provenienti da Paesi terzi, e quindi saranno applicati i dovuti controlli. Idem, ovviamente, anzi forse con più severità, nonostante gli accordi, per i cittadini europei che intendono entrare in RU per ragioni professionali o di lavoro.

Per i soggiorni di breve durata, previsti massimo tre mesi, i cittadini dell’UK potranno viaggiare all’interno dell’Unione senza esigenza del visto. Ma in questo caso non è contemplato il diritto al lavoro, e si fa riferimento a meccanismi di reciprocità. Qualora le autorità del Regno Unito sospendessero questa libertà di accesso, quelle dell’Unione agirebbero allo stesso modo.

In via di definizione anche la documentazione per viaggiare da e verso l’UE, con animali al seguito. Cambia il trattamento dei passeggeri che adottano mezzi di trasporto diversi per spostarsi da e verso l’Unione, la tutela potrebbe non essere applicata.

Fino al prossimo ottobre è consentito viaggiare con la sola carta d’identità o con passaporto valido per una durata di sei mesi, oltre quella data sarà esatto il passaporto biometrico. Sarà possibile portare con sé un massimo di 10mila sterline in contanti, senza obbligo di dichiararle.

Dal primo gennaio sarà obbligatoria l’assicurazione di viaggio, con copertura sanitaria privata, la tessera sanitaria europea non sarà più accettata. Si potrà usare la propria patente di guida in UK, purché si sia assicurati. Per quel che riguarda le comunicazioni tramite cellulare, il roaming gratuito non sarà più un diritto in territorio europeo.

Attualmente gli operatori telefonici non hanno previsto aumenti di tariffe per l’uso del telefono mobile in Gran Bretagna, ma non è escluso che possano provvedere in futuro.

La Gran Bretagna ha sospeso il duty-free per abbigliamento, accessori e prodotti elettronici. Non sono previsti rimborsi di Iva per gli acquisti effettuati in UK.

Per quel che concerne il trasporto aereo, è stato convenuto che a partire dal primo gennaio, le compagnie aeree in possesso di licenze operative concesse dalle autorità britanniche, non potranno più offrire servizi di trasporto aereo nell’ambito dell’Unione. La protezione del passeggero e la tutela dei suoi diritti, riguarderà quelli in partenza dagli aeroporti dell’Ue, con compagnie dell’Unione ed extra Ue, e per i voli che arrivano in territorio dell’Ue, in partenza da Paesi extra Ue, ma operati da compagnie dell’Unione.

Più o meno uguale il trattamento riservato ai passeggeri in partenza dall’UK, con compagnie britanniche.

Per i cittadini italiani che vivono in Gran Bretagna, c’è tempo fino al 30 giugno prossimo per richiedere la residenza temporanea o permanente, ossia la ‘pre-settled o settled status’.

Coloro che si spostassero in territorio UK dopo il primo gennaio, potrebbero fermarsi per un massimo di 180 giorni, al di là di questo periodo devono chiedere un permesso di soggiorno o di lavoro. Sull’immigrazione l’UK, ha stabilito un programma a punti, e i cittadini europei non avranno trattamenti di riguardo, saranno considerati come provenienti da Paesi terzi.

I visti saranno concessi a soggetti in grado di contribuire all’economia britannica, tramite un’adeguata istruzione, e titoli idonei, qualifiche professionali quali la professione medica, scienziati, informatici.

Coloro che non sono considerati lavoratori essenziali dovranno dichiarare di avere un’offerta di lavoro con un salario minimo di oltre 25mila euro. Importante la conoscenza della lingua inglese, che deve essere di livello B1.

Per ottenere un visto si dovranno versare 348 sterline (studenti), e tra le 600 e le 1.400 sterline per un lavoratore, dipenderà dal genere di lavoro, oltre al contributo obbligatorio di 624 sterline a persona per accedere al sistema sanitario nazionale dell’UK, ossia il NHS.

Studiare nelle Università della Gran Bretagna diventerà un privilegio, e i costi di accesso diventeranno molto più onerosi di quanto già non lo siano.

Gli studenti saranno considerati ‘studenti internazionali’, e dal prossimo settembre saranno tenuti al pagamento di rette universitarie piuttosto pesanti, se vorranno iscriversi alle Università britanniche e seguire quei percorsi di studi. Le rette raddoppieranno, e in diversi casi diventeranno anche il triplo rispetto a quelle attuali.

Gli studenti italiani sono attualmente 15 mila, una buona fetta degli studenti dell’Unione.

Purtroppo il Regno Unito ha anche deciso di uscire dal programma di scambio Erasmus, pertanto gli studenti europei non potranno usufruire dell’interscambio culturale o uno stage in UK.

I rapporti di lavoro saranno disciplinati da accordi bilaterali, ma non ci sarà il riconoscimento delle qualifiche professionali, lavorare nel Regno Unito dal primo gennaio sarà pertanto molto più difficile. Si spera al riguardo in nuovi accordi, con intese più vicine alle esigenze reciproche.

I termini dell’accordo raggiunto una decina di giorni fa sono molto più complessi, e disciplinano una lunga serie di rapporti tra l’Unione e la Gran Bretagna, ma è ovvio che molti dei punti trattati, anche quelli sui quali si è più dibattuto, saranno nuovamente oggetto di confronti e intese. La Brexit ha solo compiuto il primo passo,