IL GOVERNO NON DECIDE E LASCIA I SINDACI SOLI IN PRIMA LINEA. IL CASO ROMAGNOLO

DI ALBERTO EVANGELISTI

Il binomio Bagno di Romagna e San Piero in Bagno rappresenta un agglomerato amministrativo nell’appennino, al confine fra Romagna e Toscana, ovvero quelli che comunemente chiameremmo semplicemente due paesi immersi nella provincia del centro Italia. Poco meno di seimila abitanti in tutto, il comune potrebbe essere inserito in una cartolina per la bellezza dei luoghi, così come potrebbe essere usato come perfetto esempio, al limite dello stereotipo, della vita nei piccoli paesi del centro Italia, dove tutti conoscono tutti e in buona parte, per un verso o per l’altro, tutti sono in qualche modo imparentati con tutti, dove ci si conosce per il bar che si frequenta fra una partita a carte e l’altra e tutti hanno nome, cognome e soprannome.

Fra l’altro, il Comune può contare su una struttura ospedaliera, piccola ma efficiente, e su una casa di protetta, anch’essa considerata di alto livello, con poche decine di ospiti accuditi in un ambiente quasi familiare.

Si da il caso che l’atmosfera da cartolina, negli ultimi tempi, sia  stata squarciata da una diatriba che in qualche modo rischia di spaccare il paese, in una sorta di novella saga alla Don Camillo, in cui tuttavia la materia del contendere non è l’esproprio dei terreni per fare argini sul Po (qui semmai sarebbero sul Savio), ma proprio la casa protetta all’interno della quale un manipolo di operatori no vax intende imporre la propria volontà a non venire vaccinati contro il Covid 19.

Tanto basta in una piccola comunità a far surriscaldare gli animi, molto più che nelle grandi realtà metropolitane: infatti, in una miscellanea complessa da districare, ciascuno degli ospiti ha, ovviamente, parenti in paese preoccupati dal fatto che operatori non vaccinati possano essere fonte di contagio per i propri cari. Allo stesso modo, anche gli operatori sono persone inserite nel tessuto sociale del luogo, spesso amici o parenti delle medesime persone, fra le quali l’incertezza della situazione, fra presunte libertà sbandierate come fossero diritti assoluti  e legittimi timori per la salute dei propri cari, rischiano di innescare una miccia difficile da gestire.

La casa protetta “Spighi”, teatro della disputa in questione è una struttura gestita dal comune, così che il sindaco, Marco Baccini, inevitabilmente in mezzo ai due fuochi, ha dovuto prendere posizione: dapprima ha invitato gli operatori riottosi, ma sarebbe meglio dire rivoltosi, a riflettere sulla loro scelta, facendo affidamento su quel senso di responsabilità verso i fragili ospiti che, tuttavia, non ha fatto molta presa; quindi in doveroso ossequio alle proprie responsabilità di datore di lavoro, ha manifestato la necessità di prendere i provvedimenti necessari a garantire la salubrità del luogo di lavoro, il che, va da se, può in teoria comportare misure che possono arrivare fino al licenziamento per incompatibilità degli operatori sanitari no vax (se solo scrivere operatori sanitari no vax non fosse di per se un ossimoro, un po’ come vegani amanti della chianina).

Fin qui i fatti, veniamo adesso alle note dolenti della politica, quella locale e quella nazionale.

Sul piano locale, infatti, sarebbe stato bello e auspicabile che la posizione di estremo buon senso tenuta dal primo cittadino, non fosse stata usata per speculazioni politiche da qualche esponente della locale opposizione. Sarebbe stato bello, si, ma a quanto pare anche utopico, visto che Francesco Nigi, membro del CDA della struttura, per sua ammissione nominato in “quota” del gruppo consiliare “Un Bene in Comune”, ha firmato un documento in aperto contrasto alla posizione del primo cittadino sampierano. Nel testo si leggono motivando come  “Appreso da agenzia di stampa che in alcuni Paesi (Australia) il vaccino della Pfizer è stato sospeso in quanto induce ad una (falsa?) positività al virus HIV (AIDS)…Rilevato che anche in casa nostra autorevoli voci della comunità scientifica sollevano dubbi e perplessità sul vaccino della Pfizer” , sulla base delle quali chiede al sindaco  “di valutare con più calma il da farsi, ponderando tutti gli aspetti, medico, sociale, sindacale, giuridico, morale, attendendo magari un più concorde pronunciamento da parte della comunità scientifica”. Al consigliere deve essere sfuggita l’approvazione dei vaccini da parte dell’agenzia europea e dell’ AIFA; del resto fin dalle prime righe il documento, bel lontano dal dare un contributo che non si limitasse a gettare benzina sul fuoco della polemica, è parso una ottima occasione persa per tacere.

Il problema però non è tanto rappresentato dal consigliere del paese di montagna che cavalca proteste sbagliate, in una imitazione al sapore di lambrusco di quello che fanno i politici nazionali, ma dal fatto che il peso di queste situazioni non dovrebbero essere lasciato sulle spalle dei sindaci, costretti a diventare arbitri di contese che non sarebbero mai dovute nascere.

Il Governo, per una volta, dovrebbe porre in essere  l’azione che il sostantivo suggerisce: governare, che significa essenzialmente prendere decisioni e, in questo caso, dare una indicazione precisa, in forma di atto avente forza di legge trattandosi di materia legata a trattamenti sanitari, che consenta a chi sta in prima linea sul territorio di essere inattaccabile.

La persuasione è sempre buona cosa, ma quando questa non basta, la salute pubblica non può essere tenuta sotto scacco da minoranze scellerate che si ostinino a tenere posizioni pericolose motivate dalla presunzione di essere depositarie di verità scomode,  rivelate loro da un video su Youtube. Questo concetto, se vogliamo banale, era noto anche ai padri costituenti, tanto che nella formulazione del famoso articolo 32, spesso citato per metà e a sproposito, dopo la locuzione secondo cui  “Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario”, hanno aggiunto “se non per disposizione di legge” , con buona pace delle teste quadrate che si stracciano le vesti per diritti che non conoscono, senza mai tener conto dei doveri, ca va sans dire.

La legge applicabile, in realtà, già ci sarebbe, ovvero quella relativa alla responsabilità datoriale nei luoghi di lavoro. Sarebbe però doveroso per il Governo mettere la faccia su un provvedimento specifico, che possa tutelare gli operatoti e i sindaci, spesso costretti a dover affrontare l’emergenza da soli, quella dovuta dalla pandemia e quella, forse più grave, dovuta all’ignoranza.