DI ALBERTO BENZONI
Ovvero le parole tossiche della seconda repubblica (ce ne sarebbero anche altre, tra cui, “riformista” che meritano però una trattazione speciale).
E tossiche perché travisano la realtà che intendono rappresentare.
Cominciamo da “europeismo”. Nel linguaggio quotidiano, il contrario di “nazionalismo”; vale a dire la scelta di fondo, fatta sin dal secondo dopoguerra, di ripudiarlo, in antitesi al fascismo e di costruire, assieme ad altre nazioni, un’Europa radicalmente diversa da quella che aveva partorito due guerre mondiali. Nuove possibilità di crescita e di benessere per tutti; al prezzo di limitare concordemente le nostre sovranità. Come è scritto anche nella nostra Costituzione.
Nel linguaggio dei farisei e degli scribi si tratta invece di tutt’altra cosa. Di chiedere maggiori dosi dell’Europa che c’è, essendo ad oggi incapaci di cambiarla. Un’Europa che ci ha imposto l’abbandono del nostro modello economico-sociale per uniformarsi a un sistema costruito sulla concorrenza al ribasso tra i vari paesi esportatori e, quindi, sulla compressione della domanda interna. Scelta, ci dicono oggi, fatta “perché obbligata in una situazione di emergenza”; ma quando un’emergenza dura per poco meno di trent’anni, c’è qualcosa che non va. Come c’è più di qualcosa che non va quando ci si pavoneggia come europeisti o, peggio, come “più europeisti” senza mai specificare che cosa ciò significhi in concreto. E ignorando bellamente il fatto che oggi l’Europa è in uno stato di paralisi e di confusione, come mai nel passato: Maastricht sospeso, dichiarato superato ma lontano dall’essere sostituito con un altro modello; totale sconnessione tra dichiarazioni e fatti; divisioni fortissime su tutto e incapacità di prendere iniziative o di adottare strategie comuni; e, purtroppo, sempre maggiore unità nell’adottare pratiche autoritarie o nell’ utilizzare Frontex per respingere i migranti.
Ora, in una situazione del genere, tutti possono essere insieme europeisti e sovranisti. Il tutto in una specie di Europa “à la carte” in cui si è “europeisti” quando le regole e i valori difesi da Bruxelles ci piacciono, e “sovranisti” quando non ci convengono.
Non può sorprenderci, allora, che Salvini aderisca a un governo di indiscussa orientamento europeista; e senza alcun mal di pancia. Il suo partito è stato, sin dall’inizio (il dio Po, i ministeri a Monza e lo sbarco nel Mezzogiorno, pura fantasmagoria) il portavoce degli interessi del Nord; e i suoi ministri sono lì per tutelarli al meglio nella distribuzione della manna europea; per il resto, può solo constatare con soddisfazione che la politica migratoria europea – quella del respingimento a metà percorso – è , diciamo così, un ragionevole compromesso tra la sua linea (bloccare i migranti sul bagnasciuga) e quella di Minniti (non farli partire per il loro bene).
Il fatto è però che non si può essere, tutti insieme, europeisti “à la carte” e sovranisti quando conviene. E questo vale, eccome, anche per i sovranisti di sinistra, come i socialdemocratici tedeschi. Un recente sondaggio ha rivelato un dato per certi versi sconvolgente: che il loro calo elettorale degli ultimi anni è dovuto in larga parte al crollo del consenso tra gli immigrati diciamo così “stabilizzati”. Perché colpiti dalla ostilità Spd nei confronti del governo turco; o magari perché preoccupati per le conseguenze dell’apertura generalizzata delle frontiere decisa dalla grande coalizione nel 2015.
Sia come sia, la forza delle cose, porterà fatalmente la Spd a seguire le orme dei partiti fratelli scandinavi. Oramai convinti che non si può allargare o anche solo conservare i benefici del welfare state a quelli che già ne fruiscono ed estenderli ai rifugiati e/o ai nuovi venuti; di qui un ciclo di restrizioni di ogni tipo. E già che ci siamo, lo stesso interrogativo vale anche per la spesa legata all’estensione del welfare all’interno della propria nazione. Come ci dicono gli inglesi “la carità comincia a casa propria”; ma se questo è giusto, perché si dovrebbero buttare i propri soldi per assistere gli “scansafatiche e poco seri abitanti del Sud?”.
Ora, se quanto detto rappresenta la realtà, che si tratti della Germania o di qualsiasi altro paese, la sbandierata contrapposizione tra europeisti immaginari e sovranisti reali (e “a la carte”) non solo è ingannevole ma è anche rovinosa; per i paesi a sovranità limitata, ma anche e soprattutto per l’Europa.
Mentre, fateci caso, è del tutto assente quella tra destra e sinistra.
Comunque si manipoli i suoi elementi, l’equazione non torna. E non torna perché è priva di un elemento fondamentale: la dimensione internazionale e internazionalista. Quella in cui potranno misurarsi le forze che vogliono cambiare l’Europa intorno a politiche comuni e quelle che vogliono lasciare le cose come stanno o tornare indietro.
A questo punto, dovrebbe cominciare la solita lagna sulla sinistra che non c’è. Ma qui la divisione non è tra sinistra e destra, socialismo e capitalismo. Ma tra quanti sostengono l’ognun per sè e quanti ritengono che l’azione collettiva in una logica di solidarietà e di pace sia l’unica base da cui ripartire.