Ovvero, dimmi che cosa non hai fatto e ti dirò chi sei
Dialogo tra un cittadino curioso e un giornalista in pensione
DI ALBERTO BENZONI
“Ho letto sui giornali che il nuovo consiglio d’amministrazione della Roma ha rinunciato al progetto Tor di Valle perché irrealizzabile. Ma, in assenza di ulteriori informazioni, mi pare evidente che i Fredkin abbiano perso la pazienza per i ritardi dell’amministrazione; i soliti intralci burocratici e…”
“Ti fermo subito. E’ irrealizzabile perché la società non intende realizzarlo. E per almeno tre motivi. Primo perché vuole costruire uno stadio e basta. E non è quindi minimamente interessata ai business park, e a tutte le altre diavolerie che giovano solo a chi le ha pubblicizzate come progetto del secolo. Né a quello che voi chiamate ‘valorizzazione’ ma che, in volgare, si chiama speculazione. In questo caso, come avviene quasi sempre, a vantaggio del proprietario dei terreni, della banche che lo hanno finanziato e magari dell’ex presidente della Roma, interessato solo al progetto del suo stadio e non certo alla stessa Roma e ai suoi tifosi. Secondo perché vuole costruirlo presto, senza aspettare che il vecchio progetto naufraghi nella merda, quando qualcuno comincerà a domandarsi chi è Parnasi, a qual fine sia incolpato di avere corrotto tutti i corruttibili e magari, chissà, se c’è tutto questo bisogno di edilizia commerciale e di lusso, quando a Roma mancano le case popolari mentre nel lusso e nel prestigioso domina l’invenduto. Terzo, perchè vuole spenderci di meno e guadagnarci di più: leggi costruire in spazi pubblici (niente oneri di urbanizzazione) e all’interno del tessuto urbano (facile accesso per i tifosi, possibilità di fruire del merchandising). Un principio cui si attengono, in tutta Europa, i costruttori dei nuovi stadi”
“Tutto chiaro. E tutto significativo. Mi domando, allora, perché di queste valutazioni obbiettive non ci sia praticamente traccia nella stampa romana; e nemmeno sul Messaggero, l’unico giornale che, a quanto ricordi, fu contrario si dall’inizio al mega progetto”.
“Certo che era contrario. Ma non perché il suo direttore, volevo dire il suo proprietario, avesse qualcosa a che dire sulle ‘valorizzazioni’ in generale; ma perché aveva moltissimo a che dire su quello che la proponeva, vale a dire su Parnasi. Ma, fedele al principio che i panni sporchi si lavano in famiglia, non ha ritenuto opportuno gridarlo dai tetti; sicuro del fatto che lo stesso Parnasi, e con lui il progetto sarebbero affondati da soli”.
“Ma stiamo parlando del Messaggero protagonista…
Delle grandi inchieste? Ma non ne fa più dai tempi di Emiliani”.
“Pressioni dei direttori, al servizio…”
“Peggio. La nostra categoria è abituata da anni a commentare le notizie senza darle. Un vezzo tutto italiano corretto nel passato dal fatto che accanto al visto da destra c’era pur sempre il visto da sinistra. In assenza di quest’ultimo domina l’autocensura e in omaggio a quella che chiamerei viltà ambientale. Nessuno ti obbliga a non fare inchieste: sei tu che non hai alcuna voglia di farle. Troppo faticoso, troppo rischioso. E in quanto a cantare fuori dal coro, hai già perso la voce da un bel po’”.
“Ho capito. Quello che non riesco a capire, però, è l’assenza di qualsiasi reazione da parte delle forze politiche e dell’amministrazione comunale; e proprio alla vigilia del suo rinnovo. Possibile che nessuno parli per spiegare quanto è accaduto; e per trarne le dovute conseguenze?”
“Nessuno parla, certo. E questo è, in sè e per sè, un fatto drammatico. Anche perché nessuno parla ma per ragioni diverse. Non può farlo la Raggi: passata, nel giro di pochi mesi dal no pregiudiziale al sì attivo e prolungato: anche al costo di perdere la sua verginità politica, il suo “assessore simbolo” e una delle cinque stelle (quella della difesa dell’ambiente) che dovrebbero guidarne il percorso. Non possono farlo i partiti; perché, a parte Sinistra italiana, hanno tutti, con in testa il Pd, una coda di paglia lunga così. E, già che ci siamo, nemmeno i funzionari dell’amministrazione, incapaci non solo di adempiere ai loro più elementari doveri ma anche di rendersene conto”.
“Senza rendersene conto? Ma come è possibile?”
“Possibile, anzi certo. E’ quello che succede quando il potere democratico, nel nostro caso il comune, rinuncia a esercitare il ruolo che gli spetta, a garanzia dei suoi concittadini e delle loro esigenze, e finisce fatalmente a delegarlo ad altri, a garanzia dei loro interessi. Fino a perdere la capacità e la volontà di controllare il loro o di opporsi alle loro scelte. Come è avvenuto nel caso dello stadio.
“Ma come è potuto avvenire tutto questo?”
“Sarò questo il quesito centrale sul quale si giocherà l’esito della prossima campagna elettorale. E, stanne certo, ci sarà qualcuno che lo porrà. E non subirà la sorte del grillo parlante”.
“Speriamo”
“Vedi, non ho detto, ‘speriamo’ ma “ne sono certo”. Perchè a poter parlare saranno coloro che si sono sempre opposti a questa deriva, indicandone cause e rimedi. Inascoltati, fino ad oggi. Ma non più quando tutti denunceranno il disastro, guardandosi bene dall’indicarne la natura e i responsabili. E quando la gente comincerà a ritenere intollerabile quello che prima era considerato normale.”
“Mi stai dicendo che il Male non vince sempre”.
“Più o meno”.
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