DI ANTONELLA PAVASILI
Sta lì, nella scatola dei foulard.
Non lo indosso da più di un anno.
Mi è capitato di prenderlo, annodarlo al collo e poi toglierlo immediatamente.
Quei colori, quella fantasia che amo tantissimo, mi fanno troppo male.
La fantasia militare.
Non è più solo la stampa dello zaino e dei pantaloni da caccia di mio papà.
Non è più solo un vezzo da indossare per sentirsi alla moda.
È una lama ormai, un coltello appuntito che punge, ferisce e sanguina.
È quella fila di camion a Bergamo che ci ha spaccato il cuore.
Pieni di bare di italiani spazzati via da un mostro sconosciuto e spietato.
È il dolore infinito di intere famiglie sterminate.
È lo strazio di volti e corpi andati via senza nemmeno la pietà di un ultimo bacio.
Stampa militare, come i teli di quei camion.
Ripiego il foulard, lo accarezzo, lo annuso.
Ha ancora il profumo che portavo un anno fa, quando la vita era una favola e noi nemmeno lo sapevamo.
Quando la felicità la vivevamo nel quotidiano delle nostre piccole cose e non la riconoscevamo.
Quando il domani era una speranza.
Tornerò ad indossarlo quando tutto sarà finito.
Con orgoglio e commozione.
E mi ricorderà sempre quei camion militari, quelle vite spezzate, quest’incubo infinito.
Lo annoderò al collo e mormorerò una preghiera.
Una preghiera per loro.
Le vittime italiane del Covid-19.