DI CLAUDIA SABA
Quante cose potrebbero essere dette, oggi.
Che poco è stato fatto verso chi ha perso tutto ,
che forse qualche vita poteva essere risparmiata,
che certe tragedie potevano essere previste.
Il dolore è l’unica cosa che resta e nessuno avrebbe potuto descriverlo meglio.
“Alle 3:31 della notte del 6 aprile chissà quante persone, nella mia città, stavano dormendo. Chissà quante stavano sognando, e che cosa. Qualcuno stava poi magari facendo l’amore. Altri ancora stavano chattando oppure studiando o ancora fumando, affacciati alla finestra con le stelle negli occhi e una camomilla sul fuoco. Qualcuno stava persino morendo, quella notte.
La terra no. La terra sotto la mia città stava trattenendo il respiro, in quei 60 secondi della vita prima…
chissà se si può sentire, il rumore del silenzio, il rumore di una crepa sotterranea che da il via all’inferno. Chissà se si può sentire, il rumore dell’attesa finita.
E poi un click.
L’orologio in piazza Duomo segna le 3:32.
E tutto ha inizio. In pochi secondi, infiniti..
Uno
Due
Tre
Quattro
Cinque
Sei
Sette
Otto
Nove
Dieci
Undici
Dodici
Tredici
Quattordici
Quindici
Sedici
Diciassette
Diciotto
Diciannove
Venti
Ventuno
Ventidue
Ventitré
E poi un click.
E l’orologio in piazza Duomo segna le 3:33.”
Da “Ventitré secondi, L’Aquila 6 aprile 2009”
Oggi, 6 Aprile 2021.
Quei ventitré secondi,
pesano ancora.
Sono tutti lì, tra le macerie mai raccolte.