DI CLAUDIA SABA
Alle 17,48 del 23 maggio 1992 Giovanni Falcone atterra all’aeroporto siciliano di Punta Raisi.
Insieme a sua moglie Francesca Morvillo.
Tre auto con gli uomini della scorta li aspettano sulla pista.
Ma sull’autostrada A29, nei pressi dello svincolo di Capaci, mille chili di tritolo li attendono.
Un attentato barbaro, messo in atto dalla mafia per uccidere Giovanni Falcone, il simbolo della lotta a Cosa Nostra. Falcone, la moglie e tre degli agenti, non hanno scampo.
Sull’asfalto resta una fossa. “Come il cratere di un vulcano”, dirà più avanti il procuratore capo di Palermo Piero Giammanco.
Muoiono Antonio, Vito, Rocco.
Una grande nuvola nera avvolge tutto e tutti.
È l’inferno.
Sono bastati trenta secondi, per passare dalla vita alla morte.
Tre secondi che lasciarono l’Italia sgomenta.
Ferita e sconfitta.
Sono trascorsi 29 anni da quel
giorno.
E come ogni anno, anche oggi si è raccontata la storia del magistrato coraggioso che affrontò la mafia.
Molti, ipocritamente, piangeranno la morte di Giovanni Falcone.
Ma da quel giorno, non è cambiato molto.
La mafia continua il suo percorso in silenzio.
In giacca e cravatta.
“Politica e mafia sono due poteri che vivono sul controllo dello stesso territorio: o si fanno la guerra o si mettono d’accordo”.
Paolo Borsellino
“La Mafia non è una persona,
non è una cosa astratta.
La mafia è un’idea dell’esistenza.
La mafia è una interpretazione della vita, e chi vi aderisce è un mafioso.
Anche se non lo sa.
Ma questo Paese è così.
Altrimenti, non staremmo, dopo venti lunghi anni,
nella stessa identica situazione di allora”. (S.V.)