DI PIERLUIGI PENNATI
Ricordo che una noiosa mattina di molto tempo fa avevo la TV accesa, quando ancora ne possedevo una, sul primo canale RAI, quando ancora faceva un minimo di servizio pubblico, in diretta la cerimonia di premiazione per la strage di Capaci, lo speaker leggeva i nomi dei premiati, alla memoria, e subito dopo le motivazioni dell’onorificenza assegnata.
Improvvisamente chiamarono un nome a me familiare, lo stesso di un mio commilitone che nonostante il tempo e la distanza mi era rimasto molto caro nel ricordo, sgranai gli occhi sullo schermo e… accidenti era proprio lui! In carne ed ossa e sopravvissuto ad una strage epocale.
Mi chiesi senza capire come fosse possibile si trovasse lì, ne avevo perso le tracce alla Polfer di Milano Centrale qualche tempo prima quando, chiedendone notizie in stazione, mi dissero che aveva ottenuto il trasferimento a casa, in Sicilia, e ne fui contento per lui.
Certo la vita è strana, dopo il corso io ero finito in frontiera, mio malgrado, e poi mi ero congedato per un altro impiego, lui, che era stato assegnato alla Polfer, era poi finito a far la scorta ad un magistrato famoso… e per fortuna era scampato a quella che sarebbe stata la più importante strage di mafia insieme a quella di Borsellino.
Ricordo ancora bene quel ragazzo che era in caserma con me, specialmente uno scambio simpatico di battute che ho ancora bene fisso in mente, in cima alle scale che portavano alla nostra camerata al terzo piano della caserma, allora eravamo entrambi giovani ed aperti ad un futuro per nessuno di noi certo.
Io sono rimasto là, in quella caserma, al terzo ed ultimo piano, ed anche se ho dismesso la divisa da molto tempo, per me, tutti quei ragazzi che a distanza di 40 anni si ritrovano oggi sempre più numerosi in un gruppo dedicato a ritrovare i compagni del nostro corso, sono ancora gli stessi di allora, divisi e qualche volta opposti nelle convinzioni politiche, ma sempre gli stessi.
Fare il poliziotto e farlo bene non è per tutti e non si deve essere di destra per farlo, basta credere con convinzione in una giustizia comune, sapendo che un giorno sei al bar a bere un caffè, magari pensando alla tua vita tranquilla ed alla pensione anticipata, ed il giorno dopo potresti ritrovarti in una cassetta di legno solo perché eri capitato nel posto sbagliato al momento sbagliato… anzi no, nel posto giusto al momento giusto, ma qualche delinquente non la pensava come te…
Abbiamo grande bisogno di giustizia, non di giustizialismo o tifo da stadio per l’una o l’altra parte, in questo siamo tutti coinvolti e chiamati a collaborare con umiltà e quel ragazzo semplice che in cima alla scale di una caserma parlava con me e che per tutti questi anni, a differenza di altri suoi colleghi, è rimasto nell’ombra continuando a fare il proprio dovere per lo stato invece di parlare e sfruttare il momento solo per se stesso, a distanza di 40 anni è un esempio di vita e di società.
Onore ai caduti per la giustizia, ma onore anche ai vivi che fanno convintamente e con la giusta umiltà il proprio dovere sociale.