DI CLAUDIA SABA
1947 – È l’anno di un’Italia ferita dalla guerra, persone sfollate senza casa e strade, colme di macerie.
Intorno campagne devastate dalle bombe e fabbriche inermi, ormai da troppo tempo.
Ma l’italiano ha in se’ la voglia di rinascere, l’energia per riemergere e tanta solidarietà per collaborare.
“Uno, nessuno, centomila” maschere senza volto ma con intenti comuni per perseguire un unico obiettivo: la ricostruzione del tessuto sociale e politico del Paese.
È dall’anima di questi uomini che nasce la Costituzione Italiana. Ogni parola, ogni articolo, ogni verbo rispecchia la forza di volontà di un popolo ferito ma non vinto.
Di un popolo che vuole un’Italia nuova, giusta e libera.
È qui che risiedono i padri costituenti.
Negli anni della Resistenza, del dolore, della fame, di giovani vite perse per l’affermazione di un ideale.
Ogni articolo e verbo assumono significati ben precisi e le parole vengono ben dosate a partire dalle prime: “l’Italia è una repubblica fondata sul lavoro”.
Il 1946 segna un passo importante anche per le donne italiane che per la prima volta, poterono recarsi a votare. Fino ad allora il diritto di voto era limitato solo agli uomini e le donne furono considerate cittadine al pari degli uomini solo alla fine della Seconda guerra mondiale, il 10 marzo del 1946.
La loro prima occasione di voto non fu il referendum del 2 giugno 1946 per scegliere tra monarchia e repubblica, come pensano in molti, bensì le amministrative di qualche mese prima, quando le donne si recarono al voto in massa e l’affluenza superò l’89 per cento.
Circa 2 mila candidate vennero elette nei consigli comunali con una forte maggioranza nelle liste di sinistra. La stessa partecipazione ci fu anche per il referendum del 2 giugno. Le donne elette alla Costituente furono 21 su 226 candidate e cinque deputate entrarono a far parte della Commissione incaricata dall’Assemblea per scrivere la nuova proposta di Costituzione.
I lavori ebbero inizio il 25 giugno 1946 e terminarono il 22 dicembre 1947.
Nasce così il testo originale della Costituzione italiana, oggi custodito al Senato, davanti al tavolo e nella stessa sala dove hanno apposto la loro firma sull’ultima pagina, il capo provvisorio dello stato Enrico De Nicola ed il presidente del consiglio, Alcide De Gasperi.
I membri dell’Assemblea Costituente in meno di un anno e mezzo fondarono l’elemento portante della nuova democrazia italiana, il pilastro istituzionale che regola i tre poteri dello stato.
I tempi di approvazione di allora appaiono straordinari se paragonati ai tempi di oggi in cui le leggi restano ferme per anni tra le due camere.
In questo contesto storico, la democrazia non venne mai considerata solamente come una serie di regole e procedure ma riconosciuta come un “valore morale”, che aiuta il “cittadino” a diventare “persona”, essere in relazione con e per gli altri, ridefinire un orizzonte di cammino comune per lo sviluppo del Paese.
I cattolici contribuirono a costruire i tre livelli su cui si fonda la democrazia italiana.
Della “democrazia rappresentativa” e dell’ ingegneria costituzionale, voto, buona formulazione delle leggi e la loro applicazione, se ne occupò il Presidente De Gasperi e i suoi collaboratori.
Della “democrazia economica” e “dello stato sociale”, se ne occupò invece, l’on. Fanfani.
Per l’ultima dimensione della democrazia, quella “partecipativa”, fu necessario un “patto sociale” tra i partecipanti che portò alla nascita di fondazioni, associazioni, chiese, scuola, sindacati, imprese e cooperative.
Il 1° gennaio del ‘48 entra finalmente in vigore la Costituzione Italiana che diventò in seguito, fonte d’ispirazione per altri paesi alla conquista come noi, di libertà e democrazia dopo lunghe dittature.
Le finalità del lavoro svolto dai nostri padri costituenti, sono sintetizzate tra un passaggio di un discorso al Senato di don Luigi Sturzo del 27 giugno 1957:
“La Costituzione è il fondamento della Repubblica democratica. Se cade dal cuore del popolo, se non è rispettata dalle autorità politiche, se non è difesa dal governo e dal parlamento, se è manomessa dai partiti, se non entra nella coscienza nazionale, anche attraverso l’insegnamento e l’educazione scolastica e post-scolastica, verrà a mancare il terreno sul quale sono fabbricate le nostre istituzioni e ancorate le nostre libertà”.
In questi settant’anni di vita, la costituzione ha visto l’evolversi del Paese, il progredire negli anni del boom economico degli anni sessanta per poi sprofondare negli anni bui del periodo degli “anni di piombo” e della lotta alla mafia.
Ha visto il superamento degli anni Novanta con Tangentopoli e l’ingresso nel terzo millennio, con l’Euro e la crisi del 2008.
A partire dal 1983 numerose le proposte di modifica con la commissione Bozzi e successivamente con la commissione De Mita-Lotti, che voleva cambiare la seconda parte della Carta. I tentativi andarono tutti falliti. Altre proposte di riforma arrivarono nel 1997 con D’Alema e a seguire con Berlusconi nel 2001 e nel 2006 con la cosiddetta “Devolution”, che tentarono la trasformazione del nostro sistema da parlamentare a federale.
L’ultimo tentato, il più recente, è quello dello scorso anno, con la riforma Renzi-Boschi che oltre al superamento del bicameralismo paritario e la riduzione del numero dei parlamentari, tentava di sopprimere il C.N.E.L. e la revisione del titolo V della parte seconda della Costituzione.
Anche questo tentativo è stato respinto dal referendum del 5 dicembre 2016.
La Costituzione se pur con qualche piccola modifica, resta una Carta completa con garanzie di uguale trattamento per tutti i cittadini italiani.
75 anni di ideali condivisi come suppone ogni vera democrazia.
La carta più bella del mondo che, dopo 75 anni, resta essenza del principio più alto dell’essere umano: la libertà di vivere e, perché no, anche di sognare ancora.
Claudia Saba