DI PATRIZIA CADAU
A Pisa, quindici poliziotti hanno fatto irruzione in casa di una donna. Una pericolosa spacciatrice? Un’affiliata ad un clan mafioso? Una camorrista?
No.
Una madre a cui il tribunale dei minori ha deciso di portare via il figlio perché aveva denunciato la violenza del compagno, e quindi, da vittima è diventata carnefice, secondo i togati, impedendo al figlio di vedere il padre.
Mica viene considerata la legittima paura di un bambino a stare con un padre abusante? Una paura evidenziata anche nell’arco di trenta incontri protetti. No no, è colpa della madre.
E così, con un blitz, quindici agenti (!) delle forze dell’ordine hanno fatto irruzione in casa, hanno divelto la porta del bagno dove si era barricato il ragazzino, l’hanno prelevato, hanno immobilizzato la madre, e lo hanno portato in una casa famiglia dove comincerà il suo percorso forzato “quale ultimo tentativo di ricostruzione della bi-genitorialità”.
Piccolo particolare: il bambino ha sempre vissuto con la mamma, in Toscana, ma verrà deportato in Sicilia, dove abita il padre.
Ormai, oltre ai casi infiniti di donne che denunciano la violenza ma vengono ignorate dallo stato, e quindi muoiono ammazzate, c’è quest’altra categoria di donne che sopravvivono alla violenza, denunciano, chiedono aiuto, e invece di metterle sotto protezione, arriva il braccio armato del violento, lo Stato, che appellandosi ad una legge disfunzionale le porta via i figli. Trovando quindi il modo di ammazzarle senza far fare il lavoro sporco direttamente al mostro di casa.
Ho sentito con le mie orecchie dire: “Vabbè ma se picchiava la madre non vuol dire che non sia un bravo padre”.
Ecco allora la domanda: un genitore violento, ha il diritto di essere genitore?
Sì, in questo paese sì.
Non solo ne ha il diritto, ma può continuare ad esercitare abusi e violenza in famiglia, all’interno delle relazioni, usando come “cavallo di Troia” proprio il suo essere biologicamente genitore.
Le donne che non denunciano la violenza sono una marea, e non la denunciano perché tutte sappiamo bene da anni, che non ne usciamo, che è preferibile chiudersi a chiave in una stanza, però insieme piuttosto che rischiare l’abuso dello stato, definitivo, “la soluzione finale”. La deportazione.
Quello che non vi è ancora chiaro, mi pare di capire, è che potrebbe capitare ad ognuno di voi, magari sta capitando adesso. Che una donna che vi è cara ci stia passando in mezzo.
E invece ci si ostina a credere che sia roba di pochi casi eclatanti.