19 LUGLIO 1992, STRAGE DI VIA D’AMELIO, VOGLIAMO I MANDANTI

DI VINCENZO G. PALIOTTI

“Mi uccideranno, ma non sarà una vendetta della mafia, la mafia non si vendica. Forse saranno mafiosi quelli che materialmente mi uccideranno, ma quelli che avranno voluto la mia morte saranno altri”.

Sono parole di Paolo Borsellino dette giorni prima del 19 luglio 1992, quando cioè fu fatto saltare in aria, con la sua scorta, da una carica di tritolo piazzata in una Fiat 126 in sosta in Via D’Amelio. Le parole del Magistrato coincidono con quelle del suo collega – amico Giovanni Falcone che, in occasione dell’attentato ai suoi danni all’Addaura, parlò di “menti raffinatissime” che tramavano contro di lui, e contro la lotta alla mafia.

Nel corso degli anni e dei tanti processi è emerso, inequivocabilmente, che vi furono numerosi e sistematici depistaggi. Oltre a ciò, le indagini partite subito dopo la strage di Via D’Amelio, furono condotte con sorprendente superficialità ma anche come denuncia Fiammetta Borsellino, figlia di Paolo: “L’ansia del risultato per noi famiglia non può essere una soluzione. Oggi ricordare per noi vuol dire pretendere quella verità che riteniamo essere stata allontanata se non evitata da 25 anni di buchi neri e grossissime lacune riscontrabili in campo investigativo e in campo processuale”, e poi continua: “Noi ci chiediamo del perché in fase d’indagini non hanno mai ritenuto di assumere come testimone l’allora procuratore capo Pietro Giammanco, il diretto superiore di mio padre. È stato colui il quale ha omesso di informare mio padre dell’arrivo del tritolo a Palermo. A una richiesta di chiarimenti di mio padre, il dottore Giammanco rispose semplicemente che aveva provveduto a mandare le carte alla procura di Caltanissetta. C’è poi la non volontà da parte di Giammanco di delegare a mio padre le indagini su Palermo. La mattina del 19 luglio alle ore 7, mio padre riceve una chiamata da parte di Giammanco che lo informa della volontà di delegargli le indagini che erano state negate per mesi. Ci chiediamo il perché di questa telefonata da una persona che non aveva una confidenza di rapporti tale da giustificare un simile orario”.

Poi il discorso si sposta sulla “Agenda rossa” che Borsellino teneva nella sua borsa e che fu trafugata dalla scena del delitto e che ancora oggi si cerca. Il fratello del magistrato Salvatore l’ha definita La scatola nera della Repubblica”, essendo sicuro che in quell’agenda vi sono elementi che possono fare luce sulla strage di Capaci con le motivazioni di quell’atto criminoso e, sempre secondo Salvatore Borsellino, tutti questi elementi potrebbero portare gli inquirenti diritto ai mandanti anche di Via D’Amelio, teoria confermata dalle dichiarazioni di Maria Falcone sorella di Giovanni.

Su questo anche Fiammetta Borsellino si pronuncia: “Ci chiediamo perché sulla borsa di mio padre gli investigatori non hanno mai ritenuto nelle ore successive alla strage di effettuare un esame del Dna. Nel novembre del 1992 mia sorella informa La Barbera che dalla borsa era sparita l’agenda rossa. È quindi ovvio che sulla borsa vanno fatte tutte le indagini necessarie. Il dottore La Barbera invece il 25 luglio aveva comunicato all’Ansa che la borsa non esisteva. O comunque che la borsa esisteva ma l’agenda era andata distrutta”. Cosa c’era nell’agenda rossa?  “Nell’agenda c’erano annotazioni importanti che a noi non era dato sapere ma noi sapevamo che c’erano. C’è una parte oscura che chiamano Trattativa che riguarda i 52 giorni tra la morte di Falcone e quella di mio padre. Mio padre non è mai stato sentito dal procuratore di Caltanissetta Gianni Tinebra“. Le stragi di Capaci, via d’Amelio e del 1993? “È ovvio che tutto è collegato da un unico filo comune denominatore. Sarebbe ore di parlare di queste cose e non ricordare con retorica uomini che sappiamo chi sono stati perché ce l’hanno dimostrato con la loro dedizione”. (Il Fatto Quotidiano, 21 giugno 2017).

Ora il processo Borsellino quater andrà al vaglio della Corte di Cassazione che ha fissato l’udienza per il 5 Ottobre prossimo davanti alla 5^ Sezione Penale. La Corte dovrà decidere se confermare o meno la sentenza emessa dalla Corte d’Appello di Caltanissetta nel novembre 2019.

Si dovrà discutere sui ricorsi delle condanne emesse per i boss Salvatore Madonia e Vittorio Tutino, ergastolo. A 10 anni per i “falsi collaboratori” Calogero Pulci e Francesco Andriotta mentre per il reato di Vincenzo Scarantino fu dichiarata la prescrizione.

Inoltre, nella sentenza di Appello, che confermò le tesi del depistaggio sulle indagini sulla strage di Via D’Amelio, si legge: “Uno dei più gravi depistaggi della storia giudiziaria italiana”, una sentenza lunga quasi 2mila pagine e depositata nell’estate del 2018, dal processo di primo grado.

E i mandanti: restano ancora nell’ombra, e chissà se mai sapremo i loro nomi e perché hanno agito contro lo Stato. Ma, nonostante tanti passi avanti in questa vicenda, si fa fatica a trovarli nonostante si continui a parlare di “strage di stato”.

Lo ripeteremo fino all’infinito: l’unico modo per celebrare adeguatamente Paolo Borsellino, Emanuela Loi, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina, Claudio Traina è quello di fare piena luce sulla strage e finalmente dare un nome a chi nell’ombra ha tramato, e potrebbe ancora farlo, contro lo Stato: i mandanti.