DI GIANFRANCO MICALI
Quanto ho amato questo mestiere, di cui ho ben conosciuto le insidie!
E ieri ho provato una specie di sussulto nel leggere gli attacchi velenosi a Marco Travaglio, “colpevole” di aver criticato in maniera colorita Mario Draghi.
Sono stati molti i giornalisti, di rinforzo ai politici, felici di estrapolare una piccola frase dal contesto del discorso, per dimostrarne la perfidia.
Sì, ha detto che il premier, come buona parte dei ministri di questo Governo, è un “figlio di papà”. Ora si dà il caso che, purtroppo per lui, Draghi abbia invece perso il padre all’età di quindici anni e la mamma a venti, e sia stato poi cresciuto da una zia; ma l’espressione d’uso comune, voleva semplicemente sottolineare che non proveniva affatto, come ad esempio Conte, da un’umile classe sociale, e per questo gli veniva naturale schierarsi dalla parte dei benestanti.
Tutto ciò è semplicemente stato omesso sulla stampa nazionale e nei commenti politici.
Il campione dei campioni parlamentari è stato ancora una volta Matteo Renzi, spintosi persino a chiedere le dimissioni del Ministro della salute Roberto Speranza, presente sullo stesso palco di Travaglio, e, non contento, ha aggiunto il suo stupore che il direttore del Fatto Quotidiano sia pagato “per insultare tutti a reti unificate”.
Ora, quali siano queste “reti unificate”, è difficile sapere, visto che da anni in numerosi canali, non viene mai invitato, ma qualcuno dovrebbe avvertire il senatore amico di Bin Salman, da noi profumatamente pagato, che Travaglio percepisce lo stipendio da un giornale, di cui è in parte proprietario, e che è attivo grazie al gradimento dei lettori.