ROCK ‘N ROLL, CHARLIE

DI EMILIANO RUBBI
Charlie Watts ha sempre avuto la particolarità di suonare la batteria in un modo tutto suo: quando colpiva il rullante non faceva altrettanto con l’hi hat.
Probabilmente perché aveva imparato a suonare così e poi non aveva mai avuto nessun interesse a cambiare il suo stile.
Stile che ha senz’altro contributo a rendere ancora più unici e inimitabili i Rolling Stones.
Ma lo ha reso anche molto criticato, negli anni, da tutti quelli che vivono la musica come una sorta di competizione, come una disciplina olimpica, dove non conta quello che fai, ma quanto sei veloce, preciso, bravo tecnicamente.
E in giro è pieno di batteristi che sono stati e sono ancora tecnicamente più bravi di Charlie.
Come del resto è pieno di chitarristi tecnicamente più dotati di Keith Richards.
Ma Charlie ha creato la ritmica di Satisfaction e Jumpin’ Jack Flash, di Paint it black e Sympathy for the devil.
Se l’è inventata lui.
Lui ha creato uno stile.
Lui ha rivoluzionato la musica.
Lui è stato il batterista di uno dei gruppi rock più importanti della storia, se non il più importante.
Gli altri al massimo possono restare a casa a lamentarsi, come hanno sempre fatto e sempre faranno, perché sono più “puliti”, più “virtuosi”, più “preparati” di lui.
A quanti ambiti si potrebbe applicare la storia di Charlie Watts, vero?
È impressionante come le dinamiche siano le stesse un po’ in ogni campo.
E così, oggi un altro gigantesco pezzo di storia ci saluta.
Sempre senza colpire l’hi hat.
Tanto per farli rosicare per un’ultima volta.
Rock ‘n roll, Charlie.