DI LUCA BAGATIN
Cent’anni fa moriva il Barone Roman Von Ungern-Sternberg (1886 – 1921), signore della guerra russo di origine tedesca che – a capo delle Armate Bianche zariste – si proclamò dittatore della Mongolia, poco prima di essere deposto dalle Armate Rosse bolsceviche, nel settembre 1921.
A contribuire alla caduta del “Barone Pazzo” (questo il nome con il quale passò alla Storia), le milizie comuniste mongole guidate da Damdiny Sükhbaatar (1893 – 1923), ovvero il “Lenin mongolo”.
Sükhbaatar, con la rivoluzione bolscevica mongola del 1921, porrà dunque fine al lungo Medioevo mongolo e all’autorità ecclesiastica dei lama nel Paese e, l’anno successivo alla sua morte, nel 1924, sarà proclamata la Repubblica Popolare Mongola.
Damdiny Sükhbaatar, figlio di un povero contadino, fu lavoratore instancabile per tutta la vita, prima di entrare nell’esercito nel 1912.
Fu la sua amicizia con formatori militari russi che lo portò in contatto con gli ideali leninisti della Rivoluzione sovietica e, ben presto, diverrà leader di un circolo di ispirazione nazionalista e bolscevica.
Entrerà dunque in contatto con il Comintern e con Lenin e fonderà, nel 1920, il Partito Popolare Mongolo, di ideologia marxista-leninista, con lo scopo di difendere la nazione mongola, liberare il Paese dai nemici, rafforzare lo Stato in senso socialista e liberare i lavoratori, in particolare i contadini, dallo sfruttamento dell’uomo sull’uomo.
Sconfitto il Barone Ungern-Sternberg, Sükhbaatar, divenuto così eroe nazionale, intesserà fitti rapporti con il Cremlino, incontrando Vladimir Lenin a Mosca, nel 1921.
Il nuovo governo mongolo, adottando una via detta “non capitalista”, liberò dalla schiavitù della gleba le masse contadine e abolì ogni privilegio dei vecchi feudatari e del clero lamaista, imponendo a tutti un’equa tassazione.
Il governo socialista mongolo, ad ogni modo, non abolì la fede buddista, ma, anzi, la rafforzò, facendola tornare al suo stato più puro. Riducendo il potere temporale e economico dei lama, il governo puntò, infatti, a far tornare il Paese agli insegnamenti originari del Buddha, fatti di sacrificio, compassione e superamento dei privilegi materiali.
Se Sükhbaatar, ancora oggi considerato eroe nazionale in Mongolia (al punto che la capitale Urga sarà intitolata a suo nome, ovvero Ulanbaatar), passerà alla Storia come “Lenin mongolo”, il suo successore, Khorloogiin Choibalsan (1895 – 1952), passerà alla Storia come lo “Stalin di Ulanbaatar”.
Il Partito Popolare Mongolo cambierà nome in Partito Rivoluzionario del Popolo Mongolo e Choibalsan, suo nuovo leader e Presidente del Paese dal 1929, iniziò un vero e proprio ammodernamento dello Stato e serie e pesanti confische delle proprietà ai nobili feudatari e al clero.
I contadini furono organizzati in cooperative e fu avviata la collettivizzazione dell’economia in modo simile a quella attuata da Stalin in URSS, iniziando anche a sviluppare gradualmente il settore industriale, sino ad allora del tutto inesistente in Mongolia.
Tutto ciò favorì un graduale progresso sociale e culturale del Paese, anche grazie a sempre maggiori relazioni socio-economiche con l’URSS, aspetto che, ad ogni modo, renderà spesso difficili i rapporti con la vicina Cina maoista che, con l’URSS, in particolare dopo Stalin, avrà rapporti tutt’altro che idilliaci.
A succedere a Choibalsan, Yumjaagiin Tsedenbal (1916 – 1991), il Presidente di una Mongolia più moderna e ormai avviata al socialismo avanzato.
Un socialismo purtroppo destinato a implodere a causa del riformismo del “Gorbaciov mongolo”, Jambyn Batmönkh (1926 – 1997), il quale, aprendo alle riforme borghesi, finirà per trascinare il Paese verso il baratro capitalista e, egli stesso e la sua famiglia, finiranno per rimanere disoccupati per molto tempo e, successivamente, divennero produttori di pane e venditori di abiti tradizionali mongoli.
Il Partito Rivoluzionario del Popolo Mongolo tornò a chiamarsi Partito Popolare Mongolo ed ha abbandonato da tempo l’ideologia marxista-leninista, per divenire partito socialdemocratico, pur mantenendo una sua ideologia ancorata al nazionalismo di sinistra.
Essendo ancora vive nella memoria dei mongoli le antiche battaglie di Sükhbaatar e dei suoi degni successori, ancora oggi, il Partito Popolare Mongolo, guida il Paese.
Dal giugno scorso con a capo Ukhnaagiin Khürelsükh (1968), eletto con il 67,76%, avendo battuto il candidato liberale del Partito Democratico, fermo al 20,33%.
Del socialismo mongolo, di cui molto poco è stato scritto in Europa, parla anche l’interessante saggio di Marco Bagozzi, edito da Anteo, “Il socialismo nelle steppe”.
Luca Bagatin