PERCHÈ BERDINI – INTERVISTA AD ALBERTO BENZONI

DI ELISA BENZONI

 

Papà per quanto si possa essere vecchisti, candidarsi nella lista di Berdini – che in termini di vittoria ha ovviamente poco da aspettarsi – non è “troppo” per un quasi ottaseienne?  Chi te l’ha fatto fare, a parte la tua amicizia con Paolo?
“Berdini non è stata un’illuminazione improvvisa. Ma il punto d’arrivo di un percorso durato vent’anni. Eravamo un’associazione di amici, tutti ex funzionari e/o dirigenti dell’Iri. Ed avevamo assistito al progressivo declassamento delle partecipazioni statali da strumento centrale per lo sviluppo a struttura fatiscente e un po’ equivoca da liquidare in fretta, senza nemmeno un funerale decente.
Abbiamo allora deciso di dedicare le nostre energie a ‘capire Roma per cambiarla’; con iniziative di cui eravamo soltanto i promotori mentre, i protagonisti naturali dovevano essere i cittadini e l’Amministrazione. Ci siamo accorti, però, nel corso del tempo, che il comune di Roma stava subendo la stessa sorte dell’Iri: da modello a simbolo del degrado. E il tutto, nel totale silenzio di politici e amministratori; diversi tra loro ma uniti nel non fare e non far capire. Accanto a noi tanti altri. In attesa di qualcuno che ci fornisse le chiave per aprire la porta; e che fosse disposto, in prima persona, ad aprirla in nome e per conto dei cittadini romani. E abbiamo Paolo Berdini; e solo lui”.
Il richiamo a Petroselli è forte. Ma in una Roma di sinistra e nostalgica può sembrare furbetto…
“Mi occupo di politica – con una passione costante anche se quasi sempre non corrisposta – da quasi settant’anni.  Ma verrò ricordato solo per essere stato vicesindaco di Petroselli per due anni; esempio clamoroso di proprietà transitiva. Un ricordo, però nostalgico e velato di mestizia. Incontri, al bar o all’edicola o telefonate di vecchi compagni. L’”à Benzò“ (sempre gradito) ; l’apprezzamento (idem) per il tuo ruolo nel tempo che, per chiudere e rimanere nel tempo remoto, con l’annessa geremiade sulla irreversibile nequizia del presente. E allora penso che questa ‘fama’ devo meritarmela. Dimostrando, a me stesso e agli altri, che non sono cambiato. Ma, anche e soprattutto, cercando di far capire che ‘Petroselli è vivo e lotta assieme a noi’ nel denunciare concretamente la ‘nequizia del presente’; con qualche possibilità di cominciare a cambiarlo; meglio ancora, se con allegria”.
E ora ti chiedo perché non votare un ideologico, perché non votare Gualtieri e perché non votare Calenda?
“Gualtieri è una persona per bene. E anche preparata. Non farà danni. Ma non capirà mai le ragioni del degrado, ossia la prevalenza degli interessi privati sui doveri del pubblico. Anche perché, nel suo partito, nessuno può, o vuole farglielo capire. Calenda, si vota da solo; ed è già, almeno nei suoi calcoli, vicino alla maggioranza assoluta. Non ha, dunque, bisogno del nostro aiuto.
Un tempo, chi aveva l’ideologia giusta aveva in mano le chiavi del futuro. Oggi, le chiavi gli servono per chiudersi in una stanza. A guardare se stesso”.    
Su cosa si basa l’avversione a Berdini e il conseguente silenzio sulla sua candidatura? 
“Molte persone, in questa città, detestano Berdini. Anche perché, almeno un po’, lo temono. Ma, attenzione, questo odio non possono né vogliono manifestarlo pubblicamente. Perché darebbero a Paolo la possibilità di rispondere. E hanno tutti, sulle cose che lui denuncia, una coda di paglia lunga così. Meglio allora odiare in silenzio. Una parola d’ordine, non a caso, prontamente recepita dai media. Ma, attenzione, basta una piccola falla e il muro potrebbe anche crollare”.