Che gran bel film Tre Piani di Nanni Moretti. Un film che prende in prestito un piccolo condominio che basta però a descriverci tutti. Eccoci qui, figli di diverse generazioni, a cui è sfuggito qualcosa durante il percorso e che lasceranno probabilmente una magra eredità ai propri figli. Ci si salva da soli, forse, demolendo prima per ricomporre dopo, ma sulla pelle dei molti che incrociano il nostro cammino.
Cosa ci sta accadendo nel frattempo?
Narcisismi personali ad inseguire carriere che si pensa possano giustificare disattenzioni affettive. Ricerca di potere che prevale e annienta valori familiari. Sospettosità incancrenite, zone d’ombra mentali di cui si diventa vittime e carnefici. Solitudini da fronteggiare e da cui ripararsi attraverso immagini allucinatorie o dipendenze affettive. Oppure ossessive razionalità per dar ordine ad un caos interno. Emergono così, scie di fragili identità manipolatorie o risposte antisociali come urla per farsi ascoltare, quando non si è in grado di sentire sé stessi.
Siamo stati mentali al limite. Impulsività non trattenute o all’estremo opposto troppo controllate. Zone bianche o nere che galleggiano su una stabile instabilità.
Il film è, proprio per enfasi dicotomica, girato con estrema chiarezza scenica, a partire dalla prima immagine dove, in una bella palazzina signorile, all’ombra di un albero guardiano, appena rischiarata da un lampione, si illumina una finestra che invita chi osserva ad entrare all’interno. Un quadro di Magritte dove ciò che appare è anche il suo opposto.
Potrà essere per queste ragioni un film amato o odiato, sminuito o esaltato, potrà attivare resistenze interne o sciogliere consapevolezze. Certo è che guardarsi nella propria intimità a volte può comprensibilmente essere troppo complesso.