DI ALBERTO BENZONI
MERKEL
I viaggi europei della Merkel sono, formalmente, un commiato. Ma si tratta di un commiato drammatico; perché accompagnato dalla consapevolezza dolorosa di una sconfitta, non solo elettorale, ma politica.
Sconfitta, in primo luogo, come leader di un partito di centro rivale della sinistra ma attento alle sue istanze. Perché la Cdu/Csu, come i conservatori inglesi, i popolari austriaci, i gollisti/giscardiani francesi, i popolari spagnoli e ancora e ancora, sono diventati, con successo, i rivali della destra populista ma al costo di corrergli appresso, spostandosi essi stessi a destra.
Sconfitta come centro naturale di mediazione in un mondo in cui non si riesce più a mediare e che viene sospinto verso sempre nuovi conflitti. E sconfitta, infine, come punto di riferimento degli Stati Uniti in un’Europa, sempre più privata di un qualsiasi ruolo internazionale. Un dramma di cui, per inciso, non troverete la minima traccia sui media italiani.
MERKEL E DRAGHI
La nostra stampa ha interpretato, correttamente, l’incontro tra la Merkel e Draghi come un omaggio al ruolo svolto dal nostro presidente del consiglio a livello europeo; magari sino al punto di considerarlo un suo erede. L’unico giornale ad “andare oltre” è stato Domani, sottolinendo il fatto che nell’incontro di Roma, la Cancelliera era andata oltre al semplice apprezzamento. Per tracciare un quadro estremamente pessimistico della situazione mondiale e, in particolare di un’America incapace di liberarsi dall’eredità di Trump.
Ma qui la partita è del tutto aperta.
IL CASO BURNS
Vedere l’ambasciatore designato da Biden per la sede di Pechino definire la Cina come il “nemico numero uno degli Stati Uniti” e, per non farsi mancare nulla, “aggressivo e prepotente” è, a dir poco, inusuale.
Perché lo ha fatto? Qui ci sono due ipotesi. La prima, avallata dalla reazione tutto sommato moderata delle autorità cinesi, è che si tratti di un pedaggio puramente formale, pagato a un Senato altrimenti orientato a bocciare preventivamente la nomina di tutti i nuovi ambasciatori proposti da Biden. Diciamo una sceneggiata, magari un po’ fuori misura; una incontinenza verbale propria dello stesso presidente del tipo “sei un assassino, sei un dittatore però”…
C’è però una seconda interpretazione, questa un tantino più preoccupante. Che considera la sparata dell’ambasciatore come l’ennesimo episodio di uno scontro tra una presidenza che ha dichiarato di voler evitare ad ogni costo un ritorno alla guerra fredda e uno “stato profondo”, rappresentato dal complesso militare/industriale evocato da Eisenhower più di sessant’anni che gli rema palesemente contro. Scontro, cui corrisponde, sul piano interno, la pressione delle lobbies, del carbone, del “Big pharma”, volta a ridimensionare, quantitativamente ma soprattutto qualitativamente, il grande programma di intervento pubblico predisposto dall’Amministrazione. A favore di questa seconda interpretazione molti episodi.
Nell’un caso come nell’altro, nulla indica che l’America profonda abbia vinto. Avrebbe vinto se avesse cambiato il corso e gli indirizzi del potere politico. E così non è. Perché viviamo uno scontro durissimo e destinato a risolversi nei prossimi mesi.
INTERESSI E SENTIMENTI
Un corrispondente del New York Times arriva in una città turca ai confini della Siria. Centomila abitanti prima dell’arrivo dei profughi siriani. Duecentomila oggi. Dalle stalle e alle stelle. Una città povera e sonnolenta rinata a nuova vita e in tutti i sensi. Scontri a sfondo razziale (tra turchi e arabi non c’è mai stato buon sangue) vicini allo zero.
In questo stesso momento l’Europa erige muri e fili spinati – mille chilometri, non so se mi spiego – senza che le istituzioni europee facciano una piega. Nemmeno quando le autorità polacche scoprono che le decine di migliaia di persone morte di freddo o di fame alle loro frontiere comprendono una quantità altissima di terroristi, depravati e infetti. E nemmeno quando il ministro degli interni francese, Darmanin, elogia la “via greca ai respingimenti” o quando il governo inglese garantisce lo scudo legale a chi li compie.
Unica eccezione a questo scenario disgustoso, la Germania. Lei, vivaddio, gli immigrati li ha sempre presi perché le servivano. Per interesse. Noialtri, invece, gli abbiamo aperto le braccia in nome dei buoni sentimenti; salvo a prenderli a pedate, una volta esaurita la scorta.
BRASILE
Il presidente brasiliano, Bolsonaro è a rischio di processo per genocidio da parte della giustizia del suo paese. Mentre fioriscono, come in altri paesi dell’America latina le organizzazioni paramilitari naziste.
AAA Sanzioni europee in arrivo ( ? )
IN MEMORIAM
In discussione alle Cortes di Madrid una legge che in politichese potremmo definire di “pacificazione nazionale”. Una legge che pone a carico dello stato l’apertura delle fosse comuni dove sono sepolti i morti repubblicani, la loro identificazione, la cassazione delle sentenze pronunciate a loro carico dai tribunali franchisti , la riapertura degli archivi, la possibilità di parlare della guerra civile nelle scuole.
Per molti, a sinistra, un contentino; non un risarcimento.
Per Vox, un atto di vendetta postuma da parte dei socialisti, allora primi responsabili dello scoppio della guerra civile. Per i popolari, una legge “divisiva”.
Anche la guerra civile lo era. E non c’è altro commento da fare.
Dall’Avantionline