DI ALBERTO BENZONI
AFGHANISTAN 2019
Afghanistan 2019, certamente. Una guerra che non va da nessuna parte. Un esercito governativo la cui consistenza reale sarà sì e no il 20% di quella esistente sulla carta. Attentato sanguinosissimi in piena capitale; l’ultimo a poche decine di metri dalla sede del governo. Un governo profondamente corrotto, il cui controllo sul territorio tende irresistibilmente a diminuire. Elezioni sempre più a rischio di contestazione, al punto di essere continuamente rinviate. Un intervento militare internazionale, inizialmente massiccio – sino al punto di abbattere l’allora governo islamico eliminando, almeno inizialmente, la sua presenza nell’intero paese – e poi via più contenuto, anche per la necessità politica di azzerare le perdite americane. Il consolidamento della presa delle milizie islamiche sul territorio sulla triplice base di una giustizia civile rapida, equa e imparziale, della sicurezza e di un’interpretazione radicale della sharia. E, per effetto di tutto questo, la spinta a chiudere al più presto la partita.
E’ la fotografia dell’Afghanistan verso la fine del 2019. Ma è anche quella della Somalia di fine 2021. E, temo, sarà anche quella di un qualche paese del Sahel; magari con i francesi al posto degli americani, verso la fine del 2022.
ISRAELE/PALESTINA
Sul “Figaro” di due settimane fa, i dati di un sondaggio tra i palestinesi della Cisgiordania. Molto problematico, e quindi soggetto a mutamento, quello sulle vie da seguire in futuro (per ora ci si divide a metà tra i fautori della lotta armata e quelli di percorsi pacifici; ma siamo all’indomani della guerra di Gaza e delle violenze a Gerusalemme est).
Netto, invece, e definitivo l’orientamento sul cavallo di battaglia dell’Autorità nazionale palestinese e di al Fatah (così come della collettività internazionale), riassumibile nella formula “due popoli due stati”. Ai due terzi degli intervistati la cosa non interessa; mentre il 75% la ritiene irrealizzabile almeno nel futuro prevedibile. E, a coronare il tutto, l’80% si dichiara apertamente ostile al governo di abu Mazen e allo stesso al Fatah, da cui non si sente minimamente rappresentata.
Un successo per il governo israeliano? Formalmente e tatticamente sì. Nel senso che gli consente di accantonare apertamente una richiesta in precedenza elusa e con ragioni del tutto speciose.
Sostanzialmente e in prospettiva un problema, questa volta non eludibile. Perché non è più sostenibile, da nessuno e da nessun punto di vista, una situazione in cui ad avvantaggiarsi, in tutti in sensi, dello status quo sono gli israeliani e a pagarne ogni possibile prezzo è il popolo palestinese.
Non a caso, allora il nuovo asse Biden/Bennett si è formato su questo principio di fondo: niente per la Palestina; quanto possibile per i palestinesi (compresi quelli di Israele e di Gaza).
Un disegno, attenzione, che nessuno tra gli interessati contesta in linea di principio; mentre rimane uno scetticismo diffuso sul “quanto”.
Un tema su cui la collettività internazionale farebbe bene a dedicare la massima attenzione.
C’E’ UN GIUDICE A BERLINO
Nel commentare la sentenza sul caso Eitan, i nonni israeliani hanno parlato di “sentenza politica”. E’ il classico caso del bue che dà del cornuto all’asino. Perché, a “buttarla in politica” sono stati proprio loro. E fin dal principio. Mentre la controparte, che fossero i parenti italiani o i loro avvocati e, in questo caso tutto a suo merito, la stampa del nostro paese, si sono ben guardati dal fare. Fiduciosi, come erano, e a giusta ragione, che, a partire dalla Convenzione internazionale in materia, il verdetto non potesse che essere a loro favore.
“Buttarla in politica”, nel caso specifico, significava due cose. La prima, prendersela gratuitamente con un paese colpevole di avere “ucciso i nostri cari” e poi con la zia paterna che aveva tenuto prigioniero un bambino magari facendogli il “lavaggio del cervello”.
La seconda, riproponendo formalmente un pregiudizio di fondo che è da sempre il credo della destra nazionalista e religiosa israeliana. Leggi la convinzione, fatta espressamente propria dai Begin ai Netanyahu, che un ebreo, dovunque esso sia e qualunque sia la sua condizione, può realizzarsi pienamente e vivere tranquillo solo se torna nella terra dei suoi padri. Un giudizio e una convinzione che rappresentano anche un richiamo e un potenziale elemento di disvalore per gli ebrei della diaspora.
In punto di diritto, un argomento debolissimo. Ma, politicamente ed emotivamente di forte presa.
Un argomento che però non ha influenzato minimamente il verdetto. A testimonianza dell’indipendenza del sistema giudiziario, al centro di qualsiasi stato di diritto. E, anche, perché no del rasserenamento del clima politico in atto in Israele.
Il resto, faide familiari feroci, alimentate anche da ragioni di interesse, fa parte di un altro film.
PRESTITI E SOTTOMARINI
Secondo recenti calcoli, la Cina avrebbe prestato ai paesi poveri del terzo mondo 182 miliardi di dollari; più di quanto abbiano fatto, messi insieme, i paesi più sviluppati.
Si sviluppano anche i suoi rapporti con i paesi del Medio oriente sul duplice binario della vendita di armi e dell’acquisto di petrolio. Quale dovrebbe essere la reazione dell’Occidente?
Primo, aumentare il volume dei suoi aiuti ai paesi poveri del terzo mondo. Magari senza ricorrere alla forma del prestito.
Secondo, porre e imporre una moratoria alla vendita di armi ai paesi del Medio oriente. Magari nel quadro di accordi per quanto riguarda il controllo degli armamenti.
Terzo, mettere in atto da subito, nell’ambito della costruzione concreta di un accordo sul clima, strategie che riducano la necessità di ricorso alle energie fossili.
Mi direte che si tratta di impegni molto difficili da mettere in atto.
Mentre vendere sottomarini nucleari all’Australia è “ Facile.it”.
Ma non è una risposta.
CORRUZIONE: LA PAROLA E LA COSA
Lungo tutto il ventesimo secolo, la parola “corruzione” apparteneva alla destra: era il moralismo dei ceti medi, antipolitico e antistatale; mentre ai poveri interessava molto di più ottenere delle cose che discettare sui metodi con i quali erano state ottenute.
Oggi, la parola è usata da tutti i governati del mondo. Come definire altrimenti un potere invisibile e incontrollabile, dominato com’è dall’individualismo e dal dio danaro?
NO VAX
Più di mille morti al giorno in Russia. Livello di vaccinazione basso. Circa 500 in Romania e Bulgaria; vaccinato poco più di un terzo. A questo punto, due strade percorribili. Un lockdown prolungato; o l’attesa dell’immunità di gregge Per arrivare ad un livello decente che, ritorno generale del lockdown.
Proclamarsi liberi, meglio ancora se in pochi, è bello. Ma ancora più cool farlo a spese degli altri….